La Federal Reserve, la banca centrale americana, ha appena aumentato il tasso di interesse interbancario, cioè il tasso applicato ai prestiti di denaro delle banche fra loro, di 25 punti base, portando il precedente range, che andava dallo 0% allo 0,25%, all'attuale che oscilla fra lo 0,25% e lo 0,50%. C'è da chiedersi il perché di questa mossa della Fed, in un momento in cui il tasso interbancario si era attestato su una media dello 0,13% dall'inizio del Quantitative Easing, quindi molto al di sotto del tetto massimo fino ad ora previsto, cioè lo 0,25%. Questo significa che la domanda di liquidità da parte delle banche era inferiore all'offerta. Date queste condizioni del mercato interbancario, l'aumento del tasso imposto dalla Fed avrà l'effetto di innalzare al massimo lo 0,13% attuale allo 0,25%, cioè al nuovo limite più basso di oscillazione. Dal momento che l'incremento del tasso di interesse, normalmente, ha lo scopo di ridurre la domanda di credito, quale bisogno c'era di aumentarlo ora che la domanda era tale da mantenere il tasso medio ben al di sotto del precedente tetto massimo di oscillazione? Sembrerebbe che la Federal Reserve abbia voluto battere un colpo, quasi a voler giustificare la sua credibilità. Il sistema bancario americano nel suo insieme può attualmente godere di una liquidità in eccesso di oltre 2.420 miliardi di dollari e, nel suo insieme, non necessità di ulteriore liquidità. Un effetto negativo l'aumento del tasso interbancario lo ha sulle piccole banche di prossimità, che prestano denaro a imprese e famiglie, e che, quando avranno la necessità di aumentare le loro riserve a fronte dei prestiti elargiti, si troveranno a dover chiedere denaro alle grosse banche, quelle che dispongono di un eccesso di riserve. Sono queste le effettive beneficiare della recente mossa della Federal Reserve.