«Un risultato di cui andare fieri anche nella sconfitta», l'allucinato commento espresso da Andrea Romano a dopo il voto delle politiche del 4 marzo. Praticamente un antipasto di ciò che Matteo Renzi ha detto nella dichiarazione alla stampa rilasciata al Nazareno, nel pomeriggio di lunedì, poco dopo le 18.

In mattinata, dal Pd era stata smentita la notizia pubblicata dall'Ansa, secondo cui Renzi si sarebbe dimesso da segretario del Partito Democratico. Nonostante le dichiarazioni rilasciate prima del voto, il risultato ottenuto dal Pd faceva però ritenere che fosse impossibile per Renzi continuare ad essere segretario del proprio partito.

Che cosa ha annunciato Renzi? Che più o meno farà lo stesso di quanto fece dopo il risultato del referendum del 4 dicembre 2016, referendum - tra l'altro - tirato in ballo per spiegare la situazione che si è creata dopo il risultato delle urne.

«Una sconfitta chiara ed evidente - ha esordito Renzi. - Ma chi ha vinto le elezioni non è in grado di governare, perché coloro i quali si sono opposti a quella riforma, sono vittime dei loro stessi marchingegni.»

Quindi, per Renzi, il motivo dell'attuale incertezza politica non è la legge elettorale da lui pensata e voluta per governare nel peggiore dei casi con Forza Italia, ma la mancata approvazione del referendum costituzionale.

Il rammarico di Renzi, poi, è stato quello di non votare per le politiche già nel 2017 quando in primavera si è votato in Francia oppure, al più tardi, quando si è votato a settembre in Germania... il motivo? Per sfruttare l'onda pro europeista che questi due appuntamenti avrebbero portato anche in Italia, favorendo così il suo partito.

Il voto di ieri, sempre secondo Renzi, è stato "insensato" e a simboleggiare ciò ha preso ad esempio il risultato dell'uninominale a Pesaro, con la sconfitta del ministro dell'Interno Minniti, osannato da tutti - maggioranza e opposizione - ma battuto nettamente dal candidato dei 5 Stelle, che oltretutto non è più riconosciuto dai 5 Stelle come appartenente al movimento!

Naturalmente, il rammarico per Renzi è stato quello di non aver fatto capire agli italiani, ha detto lui, quanto di eccezionale fatto dal suo governo elencando come positivi i dati da lui ottenuti su lavoro, Pil, fatturato dell'industria, ecc.

Poi, Renzi è arrivato anche a trarre le conseguenze del disastro elettorale del Partito Democratico con l'annuncio che ne lascerà la guida affidando ad Orfini tutte le procedure burocratiche che stanno dietro a questa decisione che, va detto, non è una resa incondizionata... anzi, tutt'altro.

Infatti, Renzi lascerà la guida del Pd solo dopo che sarà stato formato il nuovo governo. Quindi sarà lui al centro delle consultazioni al Colle, nonostante sia il segretario dimissionario. Di certo un'anomalia che supera abbondantemente i confini della decenza fino a posizionarsi in quelli dell'arroganza.

Oltre a questo, Renzi ha annunciato
a) che il nuovo segretario sarà scelto con le primarie e non da quelli che lui ha chiamato i "caminetti", ossia i dirigenti politici del partito come avrebbe voluto Orlando;
b) di sentirsi garante di un impegno morale, politico e culturale per evitare qualsiasi alleanza con gli "estremisti" - probabilmente Lega e 5 Stelle - accusati di anti europeismo, anti politica e utilizzo dell'odio verbale nei confronti del Pd, che non farà loro mai da stampella;
c) ai tantissimi italiani che ancora lo stimano che lui farà il senatore "semplice" del suo collegio, ma senza aggiungere che non si ricandiderà a diventare nuovamente segretario del partito!

Anzi, ha poi dichiarato, con la scanzonata leggerezza che lo contraddistingue, che lui ripartirà dal basso, facendo politica sul territorio, in mezzo alla gente, anzi alla "zente", come i suoi famosissimi ipertrofici incisivi lo costringono a pronunciare: «Ripartiamo da qui con l'orgoglio di aver fatto un lavoro bello. Restituiamo le chiavi di casa dicendo agli altri che facciano altrettanto.» Così ha concluso Matteo Renzi.

Che quelle soopra riportate siano le intenzioni dell'attuale segretario è un fatto. Che lui possa metterle in atto è da vedere. A dispetto della logica e del buon gusto, infatti, Renzi non si è ancora dimesso... ha solo detto che lo farà.

E che questa scelta fosse già stata annunciata ai "pezzi da 90" del Pd lo testimoniano le assenze al Nazareno di molti big del partito come Delrio, Franceschini, Orlando... non presenti in sede, evidentemente perché contrariati non solo dal risultato elettorale, ma soprattutto da come Renzi ha deciso di gestire il dopo voto.

In patica, Renzi ha preso in ostaggio il Pd e non vuole mollarlo, pensando di riprenderselo dopo le prossime primarie svuotato però di tutti coloro che finora hanno fatto opposizione, sempre ammesso che un nuovo governo in Italia possa nascere in questa legislatura e non si debba di nuovo tornare a votare. In quel caso, Renzi, a logica rimarrebbe segretario e sarebbe lui a guidare la campagna elettorale.

Per questo, non sarebbe del tutto impossibile immaginarsi che nei prossimi giorni, se non nelle prossime ore, non si arrivi ad una vera e propria resa dei conti all'interno del Pd con la "defenestrazione" di Renzi o almeno con un tentativo in tal senso da parte della minoranza e di una nutrita fetta di ex renziani.

Da come si stanno mettendo le cose è l'unico modo per la sinistra di liberarsi di un peso e di un equivoco che ormai è divenuto insopportabile.