La povertà non è una semplice condizione, ma una conseguenza. La povertà - o comunque le diseguaglianze 'sociali' - esistevano già prima che inventassero l’agricoltura, le città e il denaro: la sua origine è anteriore all'accumulo e alla ricchezza.

La diseguaglianza nasce dall’educazione e dall’istruzione che riceviamo/accettiamo, la sua causa è nell’apprendimento: furono l’intelligenza e la capacità tecnica che distinsero Lucy e la sua gente dalle scimmie dell’albero accanto, tantissimo tempo fa, e  permisero a noi umani di prevalere sulla forza e la ferocia delle belve.

Così acquisimmo la libertà e la scelta, la "civiltà".

Ma sulla povertà noi italiani abbiamo una bella contraddizione in testa: da un lato siamo con San Luca che addita i ricchi e i gaudenti come causa di povertà ed esclusione e dall’altro lato vogliamo tutti vivere da ricchi e famosi. E dire che i filosofi non hanno mai scritto di questo nesso, anzi per Karl Marx sono i kingpin (oggi diremmo "mafiosi") a sfruttare precari e disoccupati e ad angariare lavoratori qualificati e commercianti.

Grazie al partito che 40 anni fa volle smantellare l'industria, vagheggiando l'avvento del terziario avanzato senza sapere del "digital divide", oggi l'Italia è devastata dalla povertà.

Povertà che è ben radicata "grazie" alla scarsissima qualificazione professionale di questi "poveri", in un paese di terze medie (>50%), dove già i redditi medi (16mila e rotti annui) non arrivano a contribuire adeguatamente ai servizi pubblici: è questa la base del consenso alla politica che firmerà l’ennesimo cambialone, astenendosi da riforme e innovazione.

Ma l’Italia non può rinunciare ad un’amministrazione pubblica "smart" e moderna, solo perché sarebbe meno accessibile ad una parte della popolazione fino all’avvento di una generazione "moderna" di adulti.

Quel che è certo è che, dilazionando ancora l’innovazione digitale italiana, il "digital divide" ne verrà solo accentuato, come abbiamo accentuato la povertà finora.