I primi a risentire delle conseguenze economiche del coronavirus non sono solo i cinesi in Cina ma anche quelli che vivono al di fuori della Cina. Difficile capire se questa regola sia universale, di certo, però, lo è per l'Italia.

Infatti, molti italiani ritengono che possano essere in qualche modo contagiati dal coronavirus dai cinesi che risiedono nel nostro Paese. Per questo motivo, disertano i negozi che prima invece affollavano. 

E per questo motivo, sabato, i cinesi di Genova, a partire dai commercianti, sono scesi in piazza davanti al teatro Carlo Felice per far presente che loro non sono dei virus, come ha ricordato Giorgio Wong, portavoce della locale comunità cinese e italo-cinese.

"La gente ha paura di entrare nei nostri ristoranti e nelle nostre attività commerciali. C'è un crollo totale delle presenze: per le sole attività di ristorazione, i clienti sono diminuiti dal 50 al 70%. Ci sono locali che facevano 200-300 coperti al giorno, che ora hanno più dipendenti che clienti. Dobbiamo far passare il messaggio che non bisogna aver paura di noi cinesi, perché non siamo virus. La gente per strada ci guarda con preoccupazione, si allontana magari coprendosi il volto. Ma viviamo qui come voi, abbiamo le stesse possibilità di ammalarci che avete voi. Siamo i primi ad avere cura della nostra salute e di quella del nostro personale".

Una situazione che, a lungo andare, non solo penalizzerà la comunità cinese, ma anche gli italiani, perché quei commercianti non fanno certo arrivare i loro prodotti solo dalla Cina... anzi! Pertanto, anche i fornitori locali inizieranno a risentire di questa follia.

Inoltre, le discriminazioni non riguardano solo il commercio e gli adulti. Atti di bullismo da parte dei ragazzini nei confronti di coetanei cinesi sono sempre più frequenti. 

Comunque, come ha sottolineato Wong, "la partecipazione di molti italiani al presidio è una piacevole sorpresa. Vuol dire che la comunità genovese è con noi. Abbiamo fatto un appello a tutti quelli che ci conoscono, che frequentano i nostri locali, affinché venissero a manifestare con noi. Sicuramente è una buona cosa".