Abbiamo molto parlato di Diana Spencer, come tanti, come quasi tutti. Non è emerso nulla di particolare negli ultimi anni, dal ventennale della morte ad oggi, intendiamo. Sappiamo che in genere ciò che esce è limato dalla propaganda; cernere il grano dal loglio spetta a noi, in base alle tecniche di scrematura che più abbiamo affinato.

Registriamo una presa di posizione del figlio Harry, nel 2020. Dopo aver riparato all’estero già da tempo, con la consorte Meghan e il neonato Archie, per motivi che i media hanno individuato in torbide trame e perfino attriti con il fratello, in effetti il rosso principino non pare rassegnato; ed è sempre apparso più combattivo del maggiore  ingessato, nelle sue uscite ufficiali, a causa del ruolo derivante dalla primogenitura. Egli insinua, a quanto si legge, che la famosa intervista di Martin Bashir, nel 1995, sarebbe stata estorta alla madre esibendole falsi documenti per provocarne la collera.

Prima di tutto è doveroso un check della famigliona reale, di recente data in ampliamento per gravidanze sparse di qualche nipote. Il 72enne Carlo è inchiodato nella posizione di erede al trono, dal 1968. Lambito da troppe chiacchiere malevole (anche se a noi personalmente simpatico), si  è ritirato in campagna con l’amata Camilla, sposata nel 2005 in un tripudio di felicità, che mai s’era vista durante il primo matrimonio. 

Cosa aspetti Elisabetta, 94 anni suonati, coniugata con Filippo, 99, a cedergli lo scettro, non si sa. Ora poi, con questo pandemic pandemonium, è impossibile anche una fastosa cerimonia di passaggio, pur se si volesse. A proposito, i genitori della sovrana sono rimasti famosi per la tenace permanenza in UK mentre infuriava la seconda guerra mondiale, rifiutando una comoda sistemazione altrove (per esempio nel solito Canada, membro diletto del Commonwealth). Sarebbe stato carino, verso i sudditi, che qualcuno del clan, in questo anno agli sgoccioli,  si fosse affacciato ogni tanto, dallo schermo del pc, eh, non da Buckingham Palace, a salutare i malati, gli anziani nei ricoveri, a fare coraggio. Invece s’è visto solo lo spennacchiotto biondo, oltretutto alle prese con la Brexit. D’altro canto William, quasi quarant’ anni portati non poi benissimo, rischia di sbadigliare a sua volta in attesa della crown, se continua così.

La corona vicina al popolo…ci rendiamo conto, almeno adesso, di che letale sciocchezza si fosse fatta scappare la defunta, forse mal consigliata o in buona fede sconsiderata, magari ispirata dal bell’arrampicatore Tony Blair? Dubitiamo che Diana fosse a lui vicina politicamente, come è stato insinuato; casomai questo errore fu commesso dalla regina nei primi anni sessanta, palesando ella una vicinanza ai Tories che le costò il brusco rimbrotto dei suoi consiglieri.

Negli ultimi giorni di Diana, abbiamo scavato a fondo con il libro “Complottista io?” (Carmen Gueye, Eidon Edizioni), apprendendo risvolti sconvolgenti (che non riguardano i Windsor); sulla figura della Spencer, oggi, qualche riflessione supplementare s’impone.

I docu e i film su di lei sono ridicoli, quand’anche ad alto budget; è tutta farina di un certo sacco e non si approfondisce mai la figura di Dodi Al Fayed, relegandolo al ruolo di ripiego per vendetta della neo fidanzata, contro tutti un po’: dall’ex marito indifferente al chirurgo pakistano (che chissà come, lei avrebbe frequentato indisturbata, secondo il film con Naomi Watts, andandolo a trovare tranquillamente e direttamente in sala operatoria…).

Il maturo giovane rampollo egiziano si mostrava, anche a fianco a lei, adulto irrisolto, soggetto al potente padre nababbo: diventato tale, come molti suoi affini,  per le debolezze della classe dirigente europea e la sua progenie per li rami. Indebitati dalle loro imprese passate e dai loro gravami presenti, è dal vicino o lontano Oriente che hanno tratto linfa i vari “casati”, aristocratici o laici, il che spesso coincide: poiché diversi cadetti e discendenza hanno trovato posto in banche d’affari e centri gestionali.

Dodi si era interessato al cinema, investendo in pellicole anche famose e quell’ambiente gli piaceva. Se c’era una figura di “muslim chic”, questo era lui; la sua immagine era destinata a fissarsi nel tempo, se fosse vissuto e, di più, avesse continuato nella storia con lei, paragonato ad Aristotele Onassis con Jackie.

Tuttavia l’ARI degli anni novanta era il padre, non il figlio, che aveva all’attivo un breve matrimonio con una playgirl californiana e pare volesse riprovarci con un’altra, salvo interrompere bruscamente per deviare sulla principessa: pilotato dal padre? Chissà. Se leggete il libro, qualcosa spunta.

Vero è invece che oggi, guardandosi indietro, la povera ragazza appare più che mai come un campo di gioco su cui ci hanno scagliato a forza: chi non ne conosceva l’esistenza? Chi non ha avuto notizia della sua fine? Suvvia, più o meno, quella mattina, chi c’era e aveva più di tre anni è stato almeno due minuti sul pezzo.

Diana ha rappresentato davvero il nostro primo social, da quando entrò in scena: stangona paffuta, prodiga di rossori, quello sguardo di sotto in su che poteva apparire talvolta irritante, suscitando fior di interrogativi nel popolino ormai già  stordito dai tabloid di Murdoch: lui la amerà? Ma si, ci assicuravano le donne inglesi che conoscevamo, questa volta è “wedding for love”, not “for society”.

Sarà. Oggi vien fuori la regola secondo cui, dopo aver sfornato erede e riserva, la coppia aspirante si concede  libertà vigilate. Ma questa volta esse dovettero forzare le sbarre.

Il problema principale della donna fu uscire dall’area di rispetto. Una volta non più altezza reale – cosa che a noi repubblicani potrà dir poco, ma aveva la sua rilevanza – dovette essere ancora controllata, ma non più protetta. La sua immagine entrò in modalità diverse e l’assalto, non solo dei fotografi, ma di tutto il pubblico famelico e affamato di novità, divenne globale.

Qualunque cosa oggi si pensi degli avvenimenti, e a dispetto delle molteplici versioni, da quel 1997 si avviò uno scambio di emozioni, quasi mai nobili, sul suo personaggio; e questa nuova configurazione era ancora tutta da costruire.

Si dirà: non era la prima né l’ultima volta, con una celebrità. Certamente. Nondimeno, le immagini di altri feticci, da Marilyn a James Dean, sono distillate da chi ha i diritti sullo sfruttamento; raramente escono scatti “rubati”, anche quando li fanno passare come tali. La principessa ebbe a dire, una volta, che i fotografi, al suo schermirsi, abbagliata dai flash, ribattevano insolenti con frasi tipo: “anche io voglio mandare i miei bambini alle scuole da ricchi”.

Attraverso di lei passavano riflessioni sulla monarchia, sull’Inghilterra, sui media, sul matrimonio, sul mondo dello spettacolo, che costituì il centro della scena al suo funerale: meglio di un red carpet (nel libro potrete leggere con che criterio furono ammesse le star alla cerimonia).

Se accatastare foto o notizie ( così chiamate anche senza aver vagliato quali lo siano e quali no) desse per risultato la verità, oggi avremmo molti problemi in meno; e un silenzio fecondo, anziché il nulla angoscioso che proviamo quando improvvisamente, d’attorno, tutto si tace.

Tre persone hanno lasciato la vita in quel tunnel che, qualcuno riderà, nelle inquadrature ravvicinate ricorda molto quello di Via Archimede, a Genova, con meno piloni, inserito in un settore della città borderline, senza appartenenza: potete vederlo nelle prime riprese del film “G 8”. Così, passandoci spesso in passato, il nostro pensiero è andato a lei, la nostra “socialitite” preferita, la madre di tutte le condivisioni.