CASERTA - Siamo educati a credere che per la salute, più c’è prevenzione e meglio è – si legge in una nota della Dottoressa Anna Foglia da anni Medico di Medicina Generale - Che prima e più forte s’interviene per aggiustare i disturbi, e migliore sarà il risultato. Che il progresso tecnologico serve a debellare definitivamente le malattie. In poche parole, siamo imprigionati in un castello di falsi miti, infatti, un intervento non è mai migliore perché è il più recente o il più tecnologico o perché è quello che anticipa di più i tempi. 

Il miglior intervento è sempre quello che corrisponde al perfetto equilibrio tra rischi e benefici. È la migliore strategia che permetta al corpo di aggiustarsi, senza escludere a priori un’azione ma anche senza superare la misura, nel sovra trattarlo, ricordando sempre che il corpo è progettato per la guarigione e l’autoripristino. 

Un approccio conservativo che segue il funzionamento della natura è: “meno è meglio”. Siamo inoltre educati – commenta la Dottoressa Anna Foglia - a credere che ci sia una medicina ufficiale altamente tecnologica e frutto del progresso, a cui si affidano i giusti ed i coscienziosi ed un’altra medicina alternativa che evita i farmaci e la tecnologia, a cui si affidano, invece, i pavidi, gli ignoranti o i diversi. 

Anche questo è un mito che va sfatato, perché la medicina si occupa della persona attraverso l’arte medica, che è un’arte umanistica. Si avvale di tutti gli strumenti terapeutici che possono essere efficaci e adeguati alla singola persona. L’arte medica quindi è una, mentre gli strumenti a disposizione sono numerosi. Quali siano più efficaci nel caso specifico è una valutazione prodotta dall’interazione di tre fattori di pari valore. 

Il primo è l’esperienza e la sensibilità del medico. 

Il secondo è l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche disponibili. 

Il terzo sono le preferenze del paziente. 

Questi sono i principi di Evidence based medicine

Un chiaro esempio di approccio a largo spettro in cui la medicina si avvale di diversi strumenti terapeutici, abbattendo alcuni limiti ideologici, è il trattamento del mal di schiena. La lombalgia è la principale causa di disabilità a lungo termine nel mondo, ha un’incidenza nel corso della vita, del 58-84%. Il 7% dei consulti dei medici di medicina generale, è riferibile alla lombalgia. Oltre il 30% dei pazienti con sciatalgia, cioè quando il dolore interessa gluteo e gamba, non riesce a trovare benefici terapeutici ad un anno dall’insorgenza. 

Le cure sembrano essere molto poco efficaci e solo in America, solitamente, si spendono 90 miliardi di dollari all’anno per la diagnosi ed il trattamento del mal di schiena. Come nella maggioranza delle affezioni non si conoscono le cause, per questo motivo, quando non si tratta di neoplasie, di compressioni nervose o di altre esplicite cause meccaniche, il mal di schiena viene detto aspecifico. 

I dolori di schiena aspecifici, di cui non si conosce bene la causa sono il 90%. Si tratta di dolori cronici che perdurano, non sono occasionali, durano oltre le tre settimane e inficiano, in modo drammatico, la vita della persona. Quindi, è necessario  – spiega la Dottoressa Anna Foglia -  intervenire sia a livello sintomatico che causale. Il livello causale si appoggia sulla eziologia, ovvero la reale conoscenza della biologia (logica della vita), di come funziona l’essere umano. Il livello sintomatico si appoggia sulle evidenze di efficacia dei trattamenti e sull’esperienza del medico. Non conoscendo le cause di 9 condizioni su 10, la medicina procede, con gli strumenti disponibili, per tentativi. In passato, per trattare il dolore cronico aspecifico, si sono tentati, principalmente, la chirurgia vertebrale, le iniezioni ormonali, l’uso di antidolorifici e di oppiacei. Dopo anni di prescrizioni si è iniziato a comprendere che, nella maggior parte dei casi, questi interventi sono, non solo inefficaci ma anche dannosi. Gli oppiacei, molto diffusi, creano grandi rischi quando sono somministrati per il dolore cronico. Le iniezioni di corticosteroidi sono un altro trattamento molto popolare, eppure non hanno effetti positivi sul dolore cronico, ma solo di sollievo nel breve periodo. La chirurgia vertebrale, che è ancora molto diffusa, è in realtà utile solo ad una piccola parte di pazienti, perché chi si è sottoposto ad essa, non ha benefici maggiori di chi segue i trattamenti non chirurgici, ma, in compenso, ne subisce gli effetti svantaggiosi. Gli interventi provati finora si concentrano sulle alterazioni meccaniche ed anatomiche nel tentativo di aggiustare un pezzo o comunque di aiutare a convivere con il sintomo. 

Oggi invece, come ci suggerisce Nino Cartabellotta su Adnkronos “In assenza dei segni di allarme, ovvero 1 su 10 che è specifico di una determinata patologia, e prima di 4-6 settimane dall’insorgenza del dolore, tutte le linee guida internazionali, concordano nel giudicare inappropriati TC ed RM nei pazienti con lombosciatalgia, sia perché non modificano le scelte terapeutiche, sia perché il frequente riscontro di anomalie non correlate con il mal di schiena attiva una cascata di prestazioni sanitarie inutili, come il consulto specialistico, gli esami ed i trattamenti invasivi che aumentano i rischi per i pazienti e consumano preziose risorse”.

Ciò significa che con l’obbiettivo di trovare l’eventuale danno meccanico con indagini strumentali, si aumenta il rischio di sovra diagnosi, non trovando poi correlazione  – commenta la Dottoressa Anna Foglia -  tra alterazione strutturale di tessuti e dolore e ci si sottopone a radiazioni dannose, oltre che ad eventi stressanti. Resta invece la correlazione soggettiva con ciò che ha vissuto il paziente. 

Professori esperti in lombalgia della Oregon Healt Science University dicono che “le cause anatomiche, strutturali possono avere un qualche ruolo ma i fattori biologici e psicologici hanno un grande ruolo”. Il ruolo preponderante dei fattori specifici è studiato dal secolo scorso e riconosciuto da almeno un decennio. Sommando tutte queste acquisizioni, loro raccomandano un approccio conservativo sia per la diagnosi che per il trattamento del mal di schiena. 

Tra il 2016 ed il 2017 le nostre Istituzioni hanno acquisito queste nuove evidenze, suggerendo ai medici di evitare il più possibile di prescrivere indagini diagnostiche, farmaci e chirurgia e di prescrivere, invece, esercizi motori, fisioterapia, ma anche terapia luminosa con dispositivi fotonici, tao chi, yoga, pilates, massaggi, agopuntura, meditazione, psicoterapia. Solo nel caso in cui questi approcci non diano risultati, si raccomandano antinfiammatori non steroidei (tipo Oki, voltare, brufen e similari) o come ultima scelta gli antidolorifici oppiacei e steroidei. 

Gli interventi sopracitati non farmacologici funzionano da molto a molto poco ed hanno un rapporto rischio-beneficio indubbiamente migliore rispetto ai trattamenti più invasivi, finora, detti impropriamente “trattamenti ufficiali” e che vanno utilizzati in un secondo momento. Nonostante queste raccomandazioni, gli operatori sanitari tendono ancora ad effettuare queste prescrizioni “improprie” perché le opinioni sanitarie hanno tempi generazionali. 

Con un aggiornamento del 2019, all’inerzia generazionale si aggiungono i rimborsi della sanità privata. Negli ultimi 10anni gli interventi di chirurgia vertebrale sono più che raddoppiati, perché fruttano alle strutture ospedaliere convenzionate, più di ogni altro intervento, nonostante la comprovata inappropriatezza e nocività. Sono quindi troppi gli interventi inutili. 

Per curare il mal di schiena aspecifico, – così la Dottoressa Anna Foglia -  molti trattamenti possono essere più o meno idonei, soprattutto in base alle preferenze del paziente, tuttavia buona parte dei trattamenti, che oggi sono i più raccomandati dalla ricerca, non sono coperti dalla sanità pubblica, né dalle assicurazioni e molte di queste pratiche sono spesso mal accolte dall’etichetta “alternativa” e anche “pseudoscienza”. 

Quindi l’arte medica non si avvale più di tutti i trattamenti; quelli etichettati alternativi trovano notevoli riduzioni di spazio. Si limita così: da una parte la scelta terapeutica ad antidolorifici ed alla diagnostica per immagini e dall’altra si escludono a priori questi strumenti che hanno approcci terapeutici causali, sempre più documentati. Nella direzione di un approccio causale – spiega la Dottoressa Anna Foglia -  cominciano a funzionare le cliniche olistiche, come ad esempio l’Ospedale Toscano di Pitigliano che accoglie anche interventi complementari, in modo da offrire ai pazienti un ampio e non limitato ventaglio di scelte terapeutiche.