Un anno fa la Corte Costituzionale, fu incaricata dal Tribunale di Milano di esprimersi sul caso Cappato, a processo per aver aiutato una persona, il DJ Fabo, a porre fine alle sue sofferenze tramite il suicidio assistito, pratica legale nella vicina Svizzera.

Cappato, per quanto fatto si auto denunciò e per tale motivo fu rinviato a giudizio con l'accusa di istigazione al suicidio, perché la legislazione italiana non prevede norme in relazione al fine vita e al suicidio assistito, problema che è stato sollevato in udienza e di cui i giudici avevano per questo investito la Consulta.

Un anno fa la Corte Costituzionale esaminò il caso ed invitò il Parlamento a licenziare una legge che potesse trattare una condizione che, oramai, riguarda molte persone in Italia. Ai legislatori italiani fu dato un anno di tempo per decidere e, in un anno, ovviamente, non hanno deciso un bel niente, a parte le norme per consentire come far affogare legalmente dei disgraziati che attraversano il Mediterraneo su mezzi di fortuna o far credere a degli sprovveduti che sparare alla "sanfasò" e alle spalle ad un ladro o presunto tale che si trovi nei pressi della propria abitazione sia dovuto e legittimo.

Tutti provvedimenti ispirati dal buon Dio e dal cuore immacolato di Maria, s'intende.

Quindi, dopo aver perso tempo e risorse su tali leggi, dopo un anno, come era prevedibile che fosse, l'efficentissimo governo gialloverde non era riuscito a produrre ciò che la Consulta gli aveva chiesto di fare. Pertanto la questione, tra il 24 e il 25 settembre, è ritornata al'esame dei giudici costituzionali.


Tecnicamente, questo era il quesito su cui la Corte Costituzionale era chiamata decidere:

La Corte d’assise di Milano dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale anzitutto “nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio”.La norma denunciata violerebbe, ad avviso del giudice rimettente, gli articoli 2 e 13, primo comma, della Costituzione, i quali, enunciando rispettivamente il principio personalistico – che pone l’uomo, e non lo Stato, al centro della vita sociale – e quello di inviolabilità della libertà personale, riconoscerebbero la libertà della persona di autodeterminarsi anche in ordine alla fine della propria esistenza, scegliendo quando e come essa debba aver luogo.La norma censurata sarebbe in contrasto, inoltre, con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli 2 e 8 della CEDU, i quali, nel salvaguardare, rispettivamente, il diritto alla vita e il diritto al rispetto della vita privata, comporterebbero, in base all’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che l’individuo abbia il diritto di “decidere con quali mezzi e a che punto la propria vita finirà”.La Corte d’assise di Milano censura, per altro verso, l’articolo 580 del codice penale “nella parte in cui prevede che le condotte di agevolazione dell’esecuzione del suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell’aspirante suicida, siano sanzionabili con la pena della reclusione da cinque a dieci [recte: dodici] anni, senza distinzione rispetto alle condotte di istigazione”. La disposizione violerebbe, per questo verso, l’articolo 3 della Costituzione, unitamente al principio di proporzionalità della pena al disvalore del fatto, desumibile dagli articoli 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.


Questo è quanto ha deciso ieri, 25 settembre.

La Corte costituzionale si è riunita in camera di consiglio per esaminare le questioni sollevate dalla Corte d’assise di Milano sull’articolo 580 del Codice penale riguardanti la punibilità dell’aiuto al suicidio di chi sia già determinato a togliersi la vita.In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa fa sapere che la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente.La Corte sottolinea che l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018.Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate.


Soddisfazione quindi, da parte di Marco Cappato e delle associazione che in questi anni si sono battute perché in italia si riconoscesse ufficialmente una pratica, quella di accompagnare malati incurabili e inguaribili, che spesso veniva applicata comunque in maniera non ufficiale in accordo con pazienti, familiari e medici.

Questa la dichiarazione di Filomena Gallo, segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, che si è battututa per anni su questo tema e di cui lo stesso Cappato fa parte:

«Oggi gli italiani sono un po’ più liberi, grazie anche a noi.Senza la fiducia dei tanti - da Piero Welby a Dj Fabo - che hanno lottato con l’Associazione Luca Coscioni, senza il coraggio di Marco Cappato e della sua disobbedienza civile con Mina Welby, non saremmo arrivati fin qui. E’ un onore per me coordinare la loro difesa, e un’emozione che non scorderò.La decisione della Corte costituzionale entra nella storia di questo Paese, e sarà da modello in tutta Europa e oltre. Voglio ringraziare ciascuna e ciascuno di coloro che hanno contribuito a fare questa storia, con una firma, un contributo, o destinando una parte del proprio tempo e della propria passione civile.Ogni successo è energia preziosa per andare avanti più forti, verso nuovi obiettivi e azioni».


Meno soddisfatti, ma era facile prevederlo, le gerarchie della Chiesa Cattolica il cui disappunto è riassunto in questa noita della Cei:

Si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia”.I Vescovi italiani si ritrovano unanimi nel rilanciare queste parole di Papa Francesco. In questa luce esprimono il loro sconcerto e la loro distanza da quanto comunicato dalla Corte Costituzionale.La preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità.I Vescovi confermano e rilanciano l’impegno di prossimità e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati.Si attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta.