Non è la fine di una guerra la garanzia di una pace duratura ma è la rimozione delle ragioni che l’hanno determinata. La pace firmata alla fine della prima guerra mondiale aveva in sé i germi del secondo conflitto come la firma del trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 portavano in sé dei funesti presagi.

Tra gli alleati vincitori che firmarono il trattato vi furono Stati Uniti, Francia Unione Sovietica, Inghilterra, Polonia, Cina, Etiopia, Brasile, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Lussemburgo, Jugoslavia, Albania, Cecoslovacchia, Grecia e altri e gli sconfitti alleati della Germania all'interno delle potenze dell'asse: Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Finlandia.

Nel trattato non era inclusa la Germania perché avendo subito l’occupazione totale del suo territorio e la soppressione di qualsivoglia governo non poteva firmare alcun trattato: alla fine del conflitto la Germania non era più un soggetto di diritto internazionale come conseguenza dell’occupatio bellica entrando di fatto sotto l’influenza degli USA e dell’Unione Sovietica e il suo destino affidato a delle ordinanze militari.

Passano decenni fin quando Gorbaciov apre all’Occidente e la Germania viene riunificata, il Patto di Varsavia viene sciolto e si pensa che l’Europa abbia davanti un periodo costruttivo e di pace invece il clima di “guerra fredda” non viene superato proprio dagli USA e dai suoi alleati di sempre Inghilterra, Francia e si accoda anche la Germania. Gli interessi americani sull’Europa sono sempre stati palesi, non ha mai appoggiato la fondazione della Comunità europea l’ha tollerata perché poteva controllarla attraverso la NATO e il predominio dei suoi tre alleati Inghilterra, Francia e Germania che guidano con mano ferma la politica comunitaria imponendola agli altri stati membri.  

Quanto affermo viene sostenuto dai fatti: se il Patto di Varsavia veniva sciolto, le truppe di occupazione russe venivano ritirate e i paesi lasciati liberi di autodeterminarsi dall’altro gli stati europei occidentali in particolare l’Inghilterra, la Francia e non ultimo la Germania hanno colto l’occasione per dichiararsi vincitori di una guerra mai combattuta contro l’Unione Sovietica: l’atto di apertura e di fiducia verso l’Europa occidentale da parte di un Paese che ammette i propri errori, che  era rimasto vittima di una ideologia e di un isolamento dettato dagli interessi egemonici degli Stati Uniti vengono considerati una “vittoria” per l’occidente. Da buoni “vincitori” incominciano a dettare le regole del gioco mettendo la rovina in casa del nemico (liberismo sorretto da corruzione che inevitabilmente produrrà disuguaglianze) poi allettando con la solita favoletta della “democrazia” i paesi limitrofi “invitandoli” ad aderire alla NATO. L’America si è espansa militarmente fino ai confini estremi dell’ex Unione Sovietica isolandola sempre più, dall’altro canto la triade europea aveva a disposizione a due passi da casa un mercato da sfruttare a suo piacimento: manodopera a costi irrisori, acquisto a prezzi stracciati dei gioielli di questi paesi in avanzato stato di arretratezza: un arricchimento immediato nel campo immobiliare di pregio, una delocalizzazione comoda e facili profitti.  

Nel 1997 la Nato “invita” ad aderire al Patto Atlantico Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria. Così si forma la prima linea dell’espansione a Est. Nel 2002 su proposta britannica vengono invitate altre sette nazioni (Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania), completando l’accerchiamento della Russia a Nord e Sud-est.

Nel 2008 Mosca impedisce l’adesione della Georgia e nel 2014 si oppone con forza a quella dell’Ucraina. Nel 2008 la linea si consolida con l’entrata dell’Albania e della Croazia, e nel 2015 e nel 2018 si completa con l’adesione del Montenegro e della Macedonia del Nord. Con un allargamento fino a 30 Stati membri schierati attorno alla Russia, la reazione di Putin era inevitabile. 

Che queste adesioni fossero mosse azzardate e pericolose non lo hanno detto solo alcuni “idealisti” fuori dal mondo ma analisti e politici di alto livello anche americani. In particolare Stephen Walt, editorialista di Foreign Policy e professore ad Harvard, ha fornito un’analisi delle ragioni che hanno determinato una reazione del genere visto i precedenti sopra riportati. Putin aveva esternato con chiarezza a tutti e in numerose occasioni le sue preoccupazioni per la strisciante espansione militare americana e l’ottusa adesione al tale programma da parte dei suoi alleati occidentali.  

 Testualmente: “Se gli Stati Uniti e i loro alleati europei non avessero ceduto all’arroganza, all’illusione e all’idealismo liberal e si fossero invece affidati alle intuizioni fondamentali del realismo, la crisi attuale non si sarebbe verificata. Infatti la Russia probabilmente non avrebbe mai preso la Crimea e l’Ucraina sarebbe più sicura oggi. Il mondo sta pagando un prezzo alto per aver fatto affidamento su una teoria errata della politica mondiale”.

La moderna filosofia economica americana basata sul liberismo e la conseguente politica estera che sta costando la sopravvivenza a milioni di esseri umani vittime delle sue numerose “missioni di pace”, dei suoi colpi di stato, spaccia il modello degli “Stati buoni” (USA e i suoi alleati)  e gli “Stati cattivi”(tutti gli altri); afferma che i conflitti scaturiscono dalle menti disturbate di despoti e liberticidi. 

 “Per i liberal, la soluzione è quella di rovesciare i tiranni e diffondere la democrazia, convinti che le democrazie non combattano l’una contro l’altra, specialmente quando sono legate dal commercio, dagli investimenti e da un insieme di regole concordate”. 

Gli oppositori dell’allargamento della Nato, tra cui noti esperti come George Kennan, Michael Mandelbaum e l’ex Segretario alla Difesa, William Perry, avvertirono che la Russia lo avrebbe inevitabilmente considerato come una minaccia e che andare avanti avrebbe avvelenato le relazioni con Mosca. I sostenitori dell’espansione vinsero il dibattito sostenendo che avrebbe aiutato a consolidare le nuove democrazie nell’Europa orientale e centrale e a creare una “vasta zona di pace” in Europa. (…) 

“I dubbi della Russia sono aumentati quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003 – una decisione che ha mostrato un certo disprezzo intenzionale per il diritto internazionale”. Questo comportamento si è ripetuto nella crisi libica e in quella siriana “spiega perché Mosca sta ora insistendo su garanzie scritte”. 

In realtà tali garanzie non sarebbero necessarie se la Nato rispettasse il contenuto e lo spirito del Trattato Atlantico. (…) Infatti, l’articolo 1 impegna le parti a rispettare lo statuto delle Nazioni Unite e a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale che pregiudichi la pace e la sicurezza. 

L’inglobamento dei paesi dell’ex Patto di Varsavia è stato motivo di contestazione internazionale perché minava la sicurezza e la pace, il problema era stato sollevato sin dall'inizio ma volutamente ignorato. Gli articoli 5 e 6 sulla cosiddetta mutua difesa si riferiscono ai territori dei singoli Stati membri minacciati da attacco armato. E l’Ucraina non è compresa. L’articolo 7 stabilisce che il Trattato non pregiudica e non dovrà essere considerato in alcun modo lesivo dei diritti e degli obblighi derivanti dallo statuto alle parti che sono membri delle Nazioni Unite o della responsabilità primaria del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. La Russia è parte delle Nazioni Unite e la politica della Nato ne ha leso i diritti, compromettendo la pace e la sicurezza di tutto il mondo.

Da questa lesione parte la reazione russa e sorprende che non sia scattata prima. L’articolo 10 stabilisce che le parti “possono”, con accordo unanime, invitare ad aderire al trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei princìpi dello stesso e di “contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. 

Nel 2008 in occasione del vertice della NATO che ebbe luogo a Bucarest, con il parere contrario della CIA, il presidente George W. Bush parlò chiaramente dell’ammissione della Georgia e dell’Ucraina, l’ingresso delle quali avrebbe portato destabilizzazione e messo in crisi la pace.

Quanto segue esplicita con chiarezza gli aspetti critici di una tale operazione: “(…) infatti il vincolo dell’unanimità conferisce a ciascun membro un pari diritto di veto che ne rispetta la dignità ma lo rende anche individualmente responsabile delle conseguenze del mancato esercizio di tale diritto. Quindi non impedire l’ingresso nell’Alleanza di tutti quei paesi che avrebbero alterato gli equilibri, minacciato la propria sicurezza e quella di altri paesi è stata una violazione del Trattato Atlantico e dello stesso statuto dell’Onu. Tutti sapevano che la Polonia e i paesi baltici avrebbero alterato tali equilibri e la Russia non era nelle condizioni d’impedirlo. Lo erano però la Germania, la Norvegia, la Francia, l’Italia e perfino il Lussemburgo, ma non hanno fatto o detto nulla (…)”.  

Riprendendo le dichiarazioni del prof. Walt: “È un luogo comune in Occidente difendere l’espansione della Nato e dare la colpa della crisi ucraina solo a Putin. Ma Putin non è l’unico responsabile della crisi in corso, e l’indignazione morale per le sue azioni o il suo carattere non è una strategia. Né è probabile che sanzioni maggiori e più dure lo inducano a cedere alle richieste occidentali. Per quanto spiacevole possa essere, gli Stati Uniti e i loro alleati devono riconoscere che l’allineamento geopolitico dell’Ucraina è un interesse vitale per la Russia, che è disposta a usare la forza per difenderlo (…) L’indisponibilità degli Stati Uniti e dell’Europa ad accettare questa realtà di base è una delle ragioni principali per cui il mondo è in questa crisi oggi”. 

Alla falsa bandiera dell’idealismo liberal statunitense ormai non ci crede più nessuno compresi gli americani che piangono i loro morti sacrificati per interessi ben più prosaici. Un onesto esame di coscienza ci impone di valutare criticamente quanto è accaduto dalla metà degli anni ’90 ad oggi in Europa e in medio oriente le cui ferite difficilmente potranno rimarginarsi.  

“L’Ucraina è oggi lo specchio di ciò che gli Stati Uniti, la Nato e l’Europa hanno fatto alla Serbia (al tempo Repubblica Federale di Jugoslavia comprendente il Montenegro) in e per il Kosovo. Erano tutti “liberal” quelli che fecero fallire i colloqui di Rambouillet per attaccare la Serbia (…). Erano idealisti quelli che bombardarono la Serbia per settanta giorni e con il pretesto umanitario inviarono contingenti militari a occupare il Kosovo, con un’operazione di “pace” che dura da 24 anni (…). Erano idealisti quelli che hanno riconosciuto l’autoproclamazione della Repubblica del Kosovo, sottraendo alla sovranità di Belgrado il cuore della cultura slava. Allora, è idealista anche Putin che con l’Ucraina ha fatto proprio il “modello Kosovo” inventato da noi e che tuttavia anche con l’invasione non ha ancora raggiunto la ferocia di uno di quei settanta giorni di bombardamenti che noi destinammo alla Serbia”.

Al di là dei trattati e del diritto internazionale abbiamo la gravissima responsabilità di aver provocato delle guerre fratricide tra popoli che hanno tutto in comune compresi quei sentimenti che noi occidentali abbiamo perso per rincorrere le illusioni di una società ingiusta e vuota truccata di lustrini e falsi sorrisi.