Meno accessi, ma anche meno strutture, ambulanze e risorse dedicate. È questa la fotografia allarmante dei servizi di emergenza del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) emersa dal confronto tra i dati dell'Annuario del SSN 2023 e quelli di dieci anni fa. Un quadro che, nonostante il calo degli accessi, non allevia le criticità: i Pronto Soccorso restano sovraffollati, soprattutto in periodi critici come la stagione influenzale o l'estate, rivelando un sistema sempre più fragile e sottofinanziato.
Nel 2023, gli accessi totali ai Pronto Soccorso italiani sono stati 18,3 milioni (311 ogni 1.000 abitanti), circa 2 milioni in meno rispetto al 2013 (-10%). Un trend analogo si osserva nei reparti pediatrici: 1,4 milioni di accessi nel 2023 (-13% rispetto a dieci anni prima). Se da un lato la riduzione potrebbe sembrare un segnale positivo – frutto forse di una maggiore efficienza nella gestione delle urgenze o di politiche di prevenzione –, il dato si scontra con un altro fenomeno: il taglio progressivo delle strutture.
In dieci anni, i Dipartimenti di Emergenza (DEA) sono diminuiti del 7,7% (da 322 a 284), mentre i Pronto Soccorso generali sono passati da 490 a 433 (-12%) e quelli pediatrici da 100 a 93 (-7%). Anche i Centri di Rianimazione hanno subito una contrazione (-5%), scendendo da 417 a 397 unità. Un vero e proprio “dimagrimento” strutturale che, anziché ottimizzare i servizi, rischia di comprometterne la capacità di risposta.
La crisi non risparmia neppure i mezzi di soccorso. Le ambulanze di tipo A (dedicate alle emergenze vitali) sono diminuite del 3,2% (da 1.222 a 1.182), mentre quelle di tipo B (per trasporti sanitari non urgenti) hanno subito un taglio del 42%, crollando da 725 a 416 unità. Un dato preoccupante, che limita la possibilità di intervenire tempestivamente in situazioni critiche, soprattutto nelle aree periferiche o meno servite.
Come spiegare, allora, le cronache di reparti intasati e attese infinite? La risposta sta nella progressiva erosione delle risorse: meno strutture, meno posti letto, meno personale e meno ambulanze costringono i Pronto Soccorso rimanenti a sopportare un carico insostenibile, amplificato da picchi stagionali e dall'invecchiamento della popolazione. A ciò si aggiunge il calo degli ospedali (-20% in vent'anni) e dei posti letto in area critica, fattori che spingono i pazienti verso i pochi presidi ancora attivi.
Il quadro complessivo disegna una sanità pubblica sempre più fragile, dove i tagli lineari – spesso giustificati con la necessità di “razionalizzazione” – minano la tenuta del sistema. La pandemia ha già dimostrato quanto siano pericolosi gli effetti di un SSN sotto pressione, e i dati odierni lasciano presagire rischi analoghi per il futuro.
«La “dieta” imposta all'emergenza urgenza – commentano gli esperti – non è stata controbilanciata da investimenti in prevenzione, telemedicina o potenziamento della medicina territoriale». Il risultato è un circolo vizioso: meno servizi generano maggiori criticità, scoraggiando l'accesso solo quando strettamente necessario e aumentando la gravità dei casi che arrivano in ospedale.
Per invertire la tendenza, servirebbero investimenti strutturali, una riorganizzazione della rete dell'emergenza e politiche di reclutamento del personale, oggi in calo (-8% dei medici dal 2013). Senza interventi decisi, il rischio è che il declino diventi irreversibile, trasformando le emergenze sanitarie in tragedie annunciate.
Il SSN, un tempo fiore all'occhiello dell'Italia, oggi appare sempre più in bilico. E mentre la politica discute di federalismo differenziato e autonomie, i cittadini si chiedono chi garantirà loro il diritto alla salute domani.