Una lenta agonia durata un'eternità, poi la morte. Il figlio scrive una lettera denuncia alla Lorenzin Dopo 56 ore di agonia, davanti ai familiari, viene constatato il decesso di un uomo, affetto da tumoere. Il figlio decide di scrivere al Ministro Lorenzin. Questo è quanto è accaduto ad un giornalista - Patrizio Cairoli - costretto a far ricoverare suo padre al pronto soccorso di uno dei più noti ospedali romani, il San Camillo e lì vederlo morire.
Una morte che Cairoli definisce senza dignità, che ha aggiunto dolore al dolore, per chi già deve combattere contro ogni alba, pensando possa essere l'ultima.
Senza pensarci su due volte, Patrizio Cairoli ha deciso di segnalare il caso di malasanità(e mala umanità) , per tutelare quanti dovessero trovarsi nelle stesse condizioni, evitando che una situazione simile possa riproporsi. Lo ha fatto senza ricorrere ai titoloni a caratteri cubitali sugli organi d'informazione, ma semplicemente scrivendo una lunga, sofferta missiva al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.
Una lettera, in fondo, dai toni pacati anche se sferzanti - ovviamente per il bagaglio di dolore che ogni parola trasuda. Nella lettera, Cairoli descrive il calvario di chi scopre di essere affetto dal cancro - ancora oggi troppe volte vincitore, anche se sono in costante aumento i casi di remissione. Le trafile da un medico all'altro, le terapie spesso devastanti, l'impreparazione dei familiari, troppe volte lasciati a se' stessi, senza una parola di conforto e soprattutto senza indicazioni ben precise. E poi, le cure palliative, che hanno solo contribuito - giorno dopo giorno - a rendere il dolore più insopportabile, da gestire nella completa indifferenza dei medici - almeno a quanto dice Cairoli - che facevano spallucce e invitavano ad avere pazienza.
Cairoli continua il suo lungo e amaro sfogo: avrebbe preferito che qualche medico gli avesse indicato prima le strutture a cui rivolgersi, quelle dove si pratica la terapia del dolore. Per rendere il calvario del padre più sopportabile, e per accompagnarlo verso una morte più dignitosa, possibilmente nel suo letto, accanto alle persone che lo amavano.
Un'informazione giunta tardi, troppo tardi; i dolori lancinanti accusati dal padre hanno costretto Cairoli a ricorrere alle cure del Pronto Soccorso. Un ospedale - il San Camillo - che non ha saputo accogliere il malato e garantirgli una morte dignitosa: abbandonato su una barella, accanto a situazioni di ogni tipo, da tossicodipendenti a semplici distorsioni o scottature, uno ammassato accanto all'altro, senza neppure una tenda per garantire la privacy a chi ha soltanto qualche respiro ancora.
Si ingegna, Cairoli: ottiene un paravento e tenta di chiudere la visuale residua agli occhi indiscreti degli altri. Usa un maglione, fermato con lo scotch, e assieme ai familiari presenti si fa scudo umano. Aspettando trascorrono 56 ore, prima che la vita decida che è ora di andarsene. 56 ore, una eternità.
"Sarebbe dovuto morire a casa, soffrendo il meno possibile. E' deceduto in un pronto soccorso, dove a dare dignità alla sua morte c'erano la sua famiglia, un maglioncino e lo scotch. E' successo a Roma, capitale d'Italia". Così chiude la sua lettera, Cairoli. Ad oggi ancora senza una risposta.