«Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l'auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento.»
Sono queste alcune delle dichiarazioni rilasciate da Giovanni Brusca, un feroce killer della mafia che da qualche giorno è tornato in libertà, dopo quasi 25 anni di carcere e con uno sconto di pena per aver collaborato con la giustizia. Questo è ciò che prevede la legge, la stessa che, a suo tempo, ha voluto anche il giudice Falcone. E se applicarla è un atto di rispetto nei riguardi del magistrato assassinato non possiamo fare altro che accettarne le inevitabili conseguenze. Ma alla luce dei fatti conviene chiedersi se sia moralmente ammissibile un atto del genere.
Giovanni Brusca è un feroce assassino, uno degli uomini più sanguinari della malavita siciliana, nonché collaboratore stretto dello stesso Totò Riina.
È stato artefice di tanti delitti di cui nemmeno lui stesso ne ricorda il numero e proprio per questo soprannominato lo "scannacristiani".
Basta pensare la tragica fine che fece fare al piccolo Giuseppe Di Matteo, prima ucciso e poi sciolto nell'acido, per avere una idea di che killer spietato fosse Brusca. Ma per la giustizia italiana è comunque un successo rimettere in libertà un criminale dopo aver scontato la propria pena.
Alcuni interrogativi allora si impongono di conseguenza: si può, per un mafioso come Giovanni Brusca, reo confesso di tanti omicidi, mutare la propria condanna e ridurne la pena per aver collaborato con la giustizia? Può essere quantificato in numeri di anni di detenzione ciò che ha fatto allo Stato e a tanta gente innocente?
Che prezzo hanno le vittime ammazzate e trucidate per mano di Brusca?!
Si dice che il crimine non paga, ma a quanto pare ha però una corsia preferenziale: se collabori ti viene ridotta la pena! Ma per qualcuno forse non è chiaro che collaborare non equivale a pentirsi!
Brusca è stato liberato non perché si è pentito ma perché ha negoziato con i magistrati la propria libertà in cambio di una sua collaborazione nelle indagini investigative. Definirlo "pentito" quindi è un po' eccessivo, soprattutto per chi con Cosa Nostra ha mantenuto dei legami forti. Il "pentimento" per Brusca e per tanti altri criminali come lui sarebbe un atto ignobile difficile da ammettere perché indegno di qualsiasi onore e rispetto.
Una libertà dunque ottenuta a spregio di tanti ingiusti omicidi che solo il buon Dio sa se perdonare!