Il passaggio televisivo viene ancor oggi celebrato come grande momento, per chi ne ottenga almeno uno, pure nella più scalercia emittente periferica, figurarsi se si è saliti agli onori di quella di Stato: si può mai pensare di delinquere, dopo l’alloro di una simile passerella?

“Diario di Famiglia” è un edificante programma di Rai Educational, lanciato nel 2006, di cui leggiamo, tra le tante, questa recensione: “ …vera chicca di formazione e informazione. Si parla spesso di deterioramento dei rapporti coniugali, dell’imbastardimento dei figli che crescono senza modelli genitoriali forti cercando alternative spesso degradanti. Ecco: se si può essere poetici, il programma condotto dal competente Alessandro Cozzi, Maria Rita Parsi …rappresenta una vera boccata d’aria pulita nello smog dei palinsesti...” tvblog.it -  6 marzo 2008.

Il 30 marzo 2011 viene arrestato per omicidio  proprio Alessandro Cozzi, 53 anni, marito e padre, rassicurante volto della trasmissione, cresciuto tra parrocchia, scuola e frequentazioni di famiglie devote. Allo sconcerto seguirono incaute reazioni a caldo, come questa  dell’ospite fissa Maria Rita Parsi, nota psicoterapeuta, dopo la subitanea professione di innocenza dell'uomo : “ Gli credo, perché non è il tipo di persona capace di portare un coltello. La sua arma è stata sempre la mediazione”. Milano.corriere.it. 1/4/2011.

La vittima è Ettore Vitiello, titolare di una non meglio specificata agenzia di lavoro a Milano. Sul numero delle coltellate inferte al poveretto, scordiamoci di reperire univocità di cronache: si va da 7 a 11, a 14 a 30, in ogni caso un certo numero, segno di accanimento. Poco passa e il reo, confessa, adducendo una sorta di legittima difesa, in quanto aggredito dal Vitiello, circostanza che fa trasecolare chi aveva conosciuto quest’ultimo e lo ricordava come una persona mite, che non avrebbe mai nemmen toccato un’arma; tuttavia, poiché l’assassino gli doveva un bel po’ di denaro, aveva tentato di farsi le sue ragioni, soccombendo. La confessione produsse un patteggiamento e la condanna dell’ex presentatore a quattordici anni. 

Qualcuno, forse spulciando gli archivi, nel 2016 si accorge che tra i casi insoluti c’è anche l’omicidio del quasi cinquantenne Alfredo Cappelletti, titolare di un’agenzia di formazione denominata “Innova skills”, trovato morto nella sede milanese della società, domenica 13 settembre 1998, con una coltellata tra ascella e petto. Nasce un cold case e subito si va a pizzicare il suo socio di allora, cioè nuovamente Alessandro Cozzi che quel giorno, recatosi insieme alla figlia dell’amico in ditta perché la famiglia era in ansia, aveva pure trovato il cadavere e pietosamente impedito alla ragazza di accostarvisi. La morte era stata etichettata come suicidio, poiché, in effetti Alfredo, negli ultimi tempi, segnatamente dopo aver patito un’ischemia, appariva umorale, oscillante tra l’euforia e la depressione e, secondo alcuni, innamorato della sua prima assistente, in procinto di mollare la moglie e i due figlioli.

Di questo crimine il Cozzi si professerà sempre innocente, ma a quanto pare non aveva perso il vizietto di sottrarre fondi e, come al solito, non restituiva il maltolto. Vero è che un solo fendente e alcune risultanze autoptiche faranno dire al processo, per esempio all’illustre anatomopatologa Cristina Cattaneo, che tecnicamente non si poteva escludere l’atto anticonservativo, ma gli indizi pesarono e ne risultò una condanna finale a 24 anni.

Siamo ancora nel 2016. Il 16 settembre, a Ravenna, viene trovata orribilmente massacrata una bella signora altoborghese, la trentanovenne occhi verdi Giulia Ballestri, madre di tre figli avuti dal dermatologo di tendenza Matteo Cagnoni, fiorentino poi definitivamente installatosi nella città di San vitale, dopo un’accusa (con proscioglimento) di collusioni con le case farmaceutiche. Lo specialista, figlio di un docente universitario e primario dell’ospedale di Careggi,  è noto anche per le sue comparse sul piccolo schermo, a “Medicina 33”, autorevole e azzimato.

A onta della sua vita brillante, secondo l’accusa il clinico ha preso molto male la relazione della bella Giulia con un altro e i prodromi di separazione all’orizzonte, motivo per cui quel giorno la convoca in una proprietà di famiglia, un villa semidiroccata in città, con la scusa di dividersi delle anticaglie rimaste all’interno e, una volta soli, l’avrebbe brutalmente aggredita: i particolari, in cui si è entrati a gamba tesa, sono raccapriccianti. Peraltro, la donna sarebbe deceduta dopo circa un’ora di agonia.

Mentre registriamo che il dottore, condannato in appello all’ergastolo, il giorno dell’ultimo anniversario della tragedia, lo scorso settembre, ha accusato un malore, non possiamo fare a meno di chiederci quali logiche muovano la mano di certi assassini -  anche se, a onor del vero, per Cagnoni manca ancora la Cassazione e si è attinto dalle centinaia di pagine della motivazione.

Un uomo di quel calibro, non certo l’ultimo arrivato, maturo quanto basta – era sulla cinquantina – prima si mostra al bar con la sua signora, e tutti lo notano; poi la conduce dove solo lui avrebbe potuto; esegue un omicidio da serial killer e, invece di buttare nel cassonetto tutti gli oggetti che potrebbero incriminarlo (per esempio, suoi vestiti insanguinati non si rinvennero), si tira dietro, durante la fuga a Firenze per riparare nella casa paterna, due cuscini insanguinati. Una bischerata degna di un grullo, per dirla alla toscana, ma così pare sia andata, almeno secondo il provvisorio verdetto.