"Dobbiamo tornare il prima possibile nel Mediterraneo - fanno sapere dal loro account twitter - quelli della Ong Mediterranea - per salvare la vita a chi scappa da questo inferno [riferito alla Libia, ndr]".
Il senatore, ma anche ufficiale di marina, Gregorio De Falco, ha colto la palla al balzo e ha dichiarato di stare valutando la possibilità di partecipare alla prossima missione della Mare Ionio sostenuta dalla Ong Mediterranea, rilasciando anche alcune dichiarazioni di "buon senso", che però non potranno essere ritenute tali da chi con il buon senso dice di voler riorganizzare l'Europa.
«Se si ritiene che un posto, o un porto, sia sicuro - ha detto de Falco - bisognerebbe immaginare lì se stessi o un proprio caro, senza fingere e senza paura. La Libia è un posto sicuro ora? Se al posto di un bimbo africano ci fosse tuo figlio, andresti a salvarlo o lo lasceresti in quell'inferno?»
E pure i militari americani che erano in Libia sono fuggiti in fretta e in furia a bordo degli hovecraft che li hanno riportati sulle navi che li attendevano al largo. Perché dei soldati della più grande potenza militare al mondo dovrebbero fuggire da un posto sicuro? Forse perché la Libia non è un posto così tanto sicuro?
E su tale punto concorda pure la Lady Pesc Federica Mogherini che dichiara che la Libia non è mai stata un "porto sicuro", salvo dimenticare che la Commissione europea approvò a Malta il piano Minniti che dava alla Libia quasi esclusiva facoltà dei salvataggi in mare nel sud del Mediterraneo anche nelle acque internazionali davanti alle sue coste. E Salvini, gli va dato atto, non ha fatto altro che peggiorare quanto di male già aveva fatto il suo predecessore al Viminale.
E la stessa Mogherini si interroga anche sulla missione Sophia: «Non ci si può attendere che un'operazione navale senza navi possa soddisfare il suo mandato». La missione Sofia è adesso senza navi e si affida solo a ricognizioni aeree.
Però nonostante quanto sopra riportato, il "buon senso" dice all'Italia e all'Europa che sia logico che 64 persone debbano stare da giorni in mare, vagando nel Mediterraneo a bordo della nave Alan Kurdi, "colpevoli" di essere fuggite da dei lager dove sopravvivevano in condizioni di schiavitù, sottoposte alle angherie di coloro che, sempre secondo l'Italia e l'Europa, dovrebbero essere deputati a soccorrerle e a garantire loro accoglienza.