Questo mercoledì, il Presidente del Consiglio Mario Draghi, è intervenuto alla Camera dei Deputati in occasione della presentazione del "Portale Ugo La Malfa - scritti, discorsi, epistolario, multimedia".
Questo il testo del discorso pronunciato dal premier:
"Sono molto felice di essere qui oggi per rendere omaggio a Ugo La Malfa. Voglio prima di tutto ringraziare coloro che hanno contribuito a questa importante iniziativa, a partire dal figlio Giorgio e dalla nipote Claudia. L’archivio digitale degli scritti politici di La Malfa, dei suoi discorsi, del suo epistolario non è solo un viaggio nella nostra memoria collettiva. È un tesoro nazionale, da preservare sì, certo per voi, per le generazioni future, ma anche per noi, ora.La Malfa è stato uno dei principali costruttori della Repubblica. Antifascista, la sua opposizione al Regime, come ricordava Claudia, gli costò un arresto e la degradazione militare, prima dell'espatrio in Svizzera. La Malfa portò i valori liberali e democratici del Partito d’Azione nel Comitato di liberazione nazionale e in una nuova casa, quella che fu la sua casa, il Partito Repubblicano Italiano.In politica estera agì da convinto atlantista ed europeista. Nel dopoguerra, La Malfa è stato uno dei padri del miracolo economico. Ministro del Commercio Estero nel Governo De Gasperi, ha guidato la liberalizzazione degli scambi. Nel 1951, abbassò i dazi del 10% e aprì le frontiere al libero commercio, a fronte di accuse di voler distruggere l’economia italiana e di esporre l’industria alla concorrenza sregolata. A motivarlo era la convinzione che fosse necessario stimolare l’economia del Paese con la concorrenza, soprattutto al Sud. Puntare – come ebbe modo di dire – sulla “capacità nazionale di andare sui mercati”, sull’iniziativa e sullo spirito imprenditoriale degli italiani. Con audacia, senza complessi di inferiorità.La storia gli ha dato ragione. Le esportazioni dall’Italia aumentarono rapidamente per tutti gli anni ‘50 e il deficit commerciale in rapporto ai volumi totali di scambio diminuì. Grazie a La Malfa, l’Italia divenne un modello per l’Europa. Altri Paesi, come Francia e Inghilterra, rinunciarono poco dopo alle barriere doganali. L’Europa tutta si avviò verso un regime di liberalizzazione del commercio, che sarebbe culminato nel Trattato di Roma e nella Comunità economica europea. Queste scelte valsero a La Malfa l’ammirazione dell’Organizzazione per la cooperazione economica europea e della Germania. Ludwig Erhard, durante una visita in Italia, elogiò con un certo stupore il suo coraggio e la sua tenacia. Quell’Italia, aperta e coraggiosa, seppe sorprendere il ministro tedesco dell’economia sociale di mercato – e, con lui, l’Europa intera.Da questo passaggio storico si evince un tratto distintivo di Ugo La Malfa. La grande apertura mentale, accompagnata alla profondità di riflessione sull’economia. Conoscenze e convinzioni sviluppate direi soprattutto con la lettura di Keynes e degli economisti americani. Una scoperta avvenuta in un grande luogo della cultura italiana: l’Ufficio Studi della Banca Commerciale.Fu Raffaele Mattioli nel ‘33 a volere lì La Malfa, nonostante fosse stato da poco liberato dopo un arresto politico e sorvegliato dalla polizia. Mattioli aprì la sua casa ai giovani dell’Ufficio Studi, dove poterono incontrare intellettuali, scrittori e poeti, da Bacchelli a Montale. E in quegli uffici della Banca Commerciale, come ricorda lo stesso La Malfa, si svolse la battaglia clandestina contro il fascismo.Da uomo di governo, La Malfa continuò a circondarsi di giovani studiosi. Nel 1962, da Ministro del Bilancio, lavorò insieme a Paolo Sylos Labini, a Francesco Forte, a Giorgio Fuà e a Pasquale Saraceno alla Nota Aggiuntiva – il suo maggiore lascito intellettuale. Nella Nota, La Malfa cercò di dare risposta a una questione centrale per la ricostruzione. Come trasformare il periodo eccezionale che il Paese stava vivendo in una stagione di crescita di lungo termine.La Malfa ci ricorda l’importanza di una politica di programmazione, necessaria per uno “sviluppo equilibrato”. E ci invita ad affrontare le situazioni settoriali, regionali e sociali che non riescono a trarre “sufficiente beneficio dalla generale espansione del sistema”. “Soltanto in una fase di grande dinamismo – scriveva La Malfa – è possibile attuare le necessarie modificazioni del meccanismo economico senza incontrare costi elevati”. L’alternativa è quella che La Malfa chiamò successivamente il “non-governo”. Una definizione fulminante, per sottolineare l’incapacità di affrontare i problemi, di dare continuità alla modernizzazione del Paese. Al “non-governo” va contrapposto il coraggio delle riforme economiche e sociali. Quel coraggio che lui sempre dimostrò, insieme ad una visione direi profondamente pessimista della politica, ma mai sfiduciata. Una visione, quella che Caffè chiamò “la solitudine del riformista”, che non diminuì mai il suo entusiasmo riformatore. Un’azione paziente ma decisa, che eviti gli sterili drammi degli scontri ideologici, per dare all’Italia una prospettiva di sviluppo, coesione, convergenza.Oggi, ricordiamo La Malfa come grande statista e appassionato riformatore. Uno degli artefici del boom economico, sempre attento a bilanciare crescita e uguaglianza. Un uomo onesto e rigoroso, che non dimenticava quando, da giovane studente alla Ca’ Foscari, per risparmiare si nutriva di fichi secchi. Un protagonista della vita civile dell’Italia, che non ha mai perso di vista i valori morali dell’attività clandestina e della Resistenza e l’importanza di trasmetterne la memoria.Nella lettera a Donato Menichella all’annuncio delle sue dimissioni da Governatore della Banca d’Italia, La Malfa si preoccupa che i più giovani non conoscano mai “quello che noi abbiamo sofferto e quello per cui tutta la vita abbiamo combattuto”. Sono certo che l’archivio che inauguriamo oggi contribuirà a diffondere la lezione riformatrice di La Malfa, il suo coraggio, la sua passione civile".
Il guaio è che le riforme economiche e sociali dei governi a cui faceva riferimento La Malfa erano realizzate - bene o male - da maggioranze elette dai cittadini. In questo caso, e Draghi sembra esserselo dimenticato, l'Italia - come era già accaduto in occasione del governo Monti - si è dimenticata di essere una Repubblica e che l'azione del governo si basa su programmi elettorali votati dai cittadini.
Le riforme economiche e sociali di cui vagheggia Draghi sono frutto dei suoi desiderata e di quelli di alcuni tecnici da lui scelti. Una democrazia che può accontentare i renzi di turno, gli irresponsabilmente responsabili del Pd, Berlusconi e quelli che come lui guardano agli interessi delle sue aziende, i leghisti del nord-est a tutela dei loro fatturati... ma la Costituzione appare difficile possa essere accontentata.