L’arcivescovo del capoluogo ligure: “Cattolici e preti nel segno della corresponsabilità. Il modello l’ho visto anche in Amazzonia e mi sono chiesto: perché non qui?”

A commentare le dichiarazioni dell'Arcivescovo di Genova, pubblicate da ilsecoloxix.it il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati" I preti sposati grande risorsa per la Chiesa potrebbero guidare i team con grande credibilità".

Non più singole parrocchie guidate da un prete attorno al quale gira la vita di una comunità di fedeli, ma pastoral team in cui l’unione fa la forza; la sfida del futuro, per la Chiesa del Terzo Millennio (a fronte del calo costante del numero dei sacerdoti) passa per una profonda riorganizzazione ispirata alle terre di missione: un lavoro di squadra tra laici, donne e uomini, in cui i sacerdoti hanno un ruolo di registi e moderatori «con l’aiuto almeno di un diacono permanente e magari un sacerdote anziano che non se la sente più di reggere da solo il peso di una parrocchia - precisa l’arcivescovo di Genova padre Marco Tasca, pioniere con la sua squadra diocesana della riforma - nelle terre di missione si chiamano Pastoral team».Padre Tasca, forte della sua esperienza internazionale di ministro generale dell'Ordine dei frati minori conventuali (il responsabile dei francescani di tutto il mondo) ha avviato a Genova una trasformazione che punta proprio a una ulteriore responsabilizzazione dei laici, attorno a figure di preti che diventano i registi di raggruppamenti di parrocchie. E mantengono ovviamente il ruolo che è proprio dei sacerdoti: la consacrazione del pane e del vino nel momento centrale della Messa.La Curia di Genova sta lanciando questa nuova figura, non si parla semplicemente di parroci responsabili di più parrocchie, ma di una trasformazione profonda: i sacerdoti sono registi e coordinatori di comunità di cattolici che, nella vita ordinaria, devono sapersi gestire con l’opera di laici: si dà un nuovo significato a una figura che sulla carta esisteva già dal 1983, istituita con la riforma del diritto canonico da papa Giovanni Paolo II, ma era stata pensata in un mondo diverso quando i sacerdoti erano tanti.«Certo, i tempi sono cambiati: negli anni Ottanta si parlava soprattutto di collaborazione tra sacerdoti, quella che proponiamo oggi è una nuova visione di comunità in cui c’è il prete, c’è un diacono e ci sono tante donne e uomini che si impegnano nel segno della corresponsabilità. Al di là del fatto se ci siano pochi o tanti preti, il punto è questo: la corresponsabilità dei laici».A Genova, nelle ultime nomine del 2023 a sua firma, sono spuntati i quattro “parroci moderatori”, registi di raggruppamenti tra tre, quattro, cinque parrocchie: come è nata questa novità.«Non c’è nulla che abbia inventato io: avendo la fortuna di aver visitato il mondo nel mio precedente ruolo da superiore dei frati minori conventuali, ho toccato con mano le situazioni reali di Paesi dove i sacerdoti sono poche unità in territori enormi: in Africa sono nati quelli che chiamiamo pastoral team ed è esattamente quello che stiamo provando a fare oggi qui, la stessa cosa, né più né meno. Anche in Amazzonia, il caso più estremo, l’ho visto con i miei occhi. E allora, diventando vescovo, diocesano a Genova, mi sono semplicemente detto: perché non farlo anche qui?».Lei sta puntando in ogni campo sul lavoro di squadra, neanche il vescovo è un primo attore. In Italia però è un’esperienza pilota.«Il vescovo deve ascoltare tutti, c’è un governo collegiale che è fatto dai consigli presbiterali e dai consigli pastorali, sul territorio c’è il lavoro dei vicariati. E prima di fare questa scelta, nel corso delle mie visite pastorali nelle diverse delegazioni, ne ho parlato con tutte le comunità. Sui compiti specifici dei parroci moderatori molte cose devono ancora essere definite, in Italia ci sono esperienze iniziali anche altrove. Ma attenzione: l’ottica non è mettere insieme delle parrocchie e continuare come prima, ma fare sì che, in un’unità parrocchiale più ampia, non si perda il valore delle singole comunità e i laici collaborino pienamente».Lei è molto pragmatico e più volte ha ribadito: “I cattolici non possono pensare di trovare la Messa sotto casa all’ora che vogliono, non è possibile”.«Di certo, se uno oggi perde una messa, non è perché non ha la possibilità di andarci ma perché non lo vuole fare: basta spostarsi e una chiesa con un prete c’è. Questo non vuol dire che si deve lasciare tutto com’è, bisogna saper vedere al di là del proprio naso: tra dieci anni, se oggi l’età media del clero è di 65 anni quanti preti ci saranno?»Una volta gli europei partivano verso le terre più lontane per evangelizzare, oggi le nuove terre di missione sono qui. Vuol dire che le cose vanno davvero male per la Chiesa?«No, vuol dire semplicemente che in passato siamo stati abituati ad avere tanti preti e oggi non è più così. Ma ricordiamoci che tutti i battezzati sono chiamati ad animare la comunità cattolica, ognuno con un proprio carisma. Non si può più, ed è sbagliato, delegare tutto al prete».Avere quattro cinque parrocchie e un solo parroco, è già la norma nei paesi dell’entroterra e oggi inizia ad esserlo anche in città. Ma il prete ha anche un ruolo civile, cambierà qualcosa nel suo ruolo e come si dovrà chiamare?«Per la gente sarà il prete di riferimento, parroco e amministratore di una fraternità di parrocchie, ma non può essere solo nel ruolo amministrativo. Il progetto prevede anche la formazione di laici che aiutino il parroco moderatore nella vita delle diverse comunità. Papa Francesco ha ricordato che, nelle missioni, i preti hanno un catechista che li aiuta: qui il termine catechista può essere fuorviante, è molto caratterizzato. Forse si parlerà di un animatore di comunità e di alici che avranno la firma per portare avanti le questioni più pratiche».