Negli ultimi mesi abbiamo visto video postati da studenti in cui venivano mostrati atti di bullismo in cui aggressioni e umiliazioni, con il relativo venir meno del senso civico e del rispetto umano, erano considerate come trofei da esibire.

Da qui, riunioni, convegni, assemblee per far recuperare la normalità che è venuta meno. Ieri è diventato virale questo video dell’esame di maturità sostenuto da Francesco Criscuiolo, un ragazzo autistico.


L’autismo è un "disturbo" che fa paura, che allontana i compagni, che fa deridere chi ne è afflitto... finché arrivano esempi come quello di Francesco che illumina le menti chiuse e perverse.

Francesco Criscuolo è un ragazzo autistico arrivato alla fine della scuola superiore; invitato con perentoria dolcezza dalla mamma (che forza!) legge una lettera di gratitudine per i compagni, gli insegnanti e la scuola intera, seguita dalla commozione dell’insegnante di sostegno, Michele Vozzella.

“Adesso, piano piano, ad alta voce, lentamente...”, e Francesco inizia, leggendo parola per parola la lettera scritta da lui stesso.

Sono passati setti anni e oggi termino il mio percorso scolastico. Qui ho imparato tante cose e ho conosciuto tante persone e sono molto dispiaciuto che tutto finisca. Voglio ringraziare il mio professore Michele e tutti i compagni di classe che mi hanno capito e voluto bene per quello che sono cioè un ragazzo come loro, con gli stessi sogni del futuro. Questo grazie ai miei compagni sono diventato più autonomo e non ho paura di affezionarmi alle persone, perché mi hanno fatto capire che esistono tante persone buone e sincere in questo mondo tanto cattivo e complicato per quelli come me. L’autismo non è contagioso, noi abbiamo bisogno di amore e integrazione. Socializzare vuol dire essere, esistere ed è quello che la scuola ha fatto per me. Rimanete nel mio cuore per sempre, Francesco.

Quale miglior esempio, per quei ragazzi che si considerano "normali", ci può essere oltre alle parole di Francesco per insegnar loro il rispetto per l'altro ed, in particolar modo, per il "diverso", per l'emarginato?