Musacchio: una giustizia lenta è spesso una giustizia negata
Vincenzo Musacchio, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA) e ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera, il giurista è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.
Il processo penale in Italia sembra essere in crisi, è davvero così?A questa domanda rispondono i fatti e sono purtroppo inconfutabili. In Unione europea il processo penale di primo grado dura in media 140 giorni; quello di appello 145 giorni. In Italia la durata media del processo penale è di 390 giorni in primo grado (quasi tre volte tanto) e di 840 giorni in appello (quasi sei volte tanto). Siamo di fronte ad una evidente violazione del diritto costituzionale alla ragionevole durata del processo. Naturalmente ci sono altri problemi annosi mai risolti. Uno di questi è la scarsa applicazione dei riti alternativi. Non di secondaria importanza gli scarsi investimenti dello Stato allo scopo di far funzionare in modo efficiente e funzionale il sistema giustizia.
Il Parlamento in questi giorni dovrà decidere sulla riforma della giustizia, finalmente avremo un miglioramento?Me lo auguro davvero, ma in tutta onestà devo dire che non sono particolarmente ottimista. Vivo da oltre trent’anni il sistema giudiziario italiano e tante volte ho visto annunciare riforme che erano salutate come risolutive. Poi, in realtà, il sistema è rimasto inalterato o in alcune circostanze le cose sono addirittura peggiorate.
Il Governo tuttavia sembra determinato ad andare avanti.Il Governo e lo stesso Ministro della Giustizia sono sicuramente determinati, ma le riforme per natura si approvano in Parlamento. Non credo che un Assemblea legislativa così eterogenea e divisa ideologicamente sia in grado di approvare una riforma sic et simpliciter. Auspico tuttavia che si riesca perlomeno ad incidere su alcuni settori come quello della riforma del Csm e del sistema penitenziario.
Sulla riforma della separazione delle carriere e della discrezionalità dell’azione penale cosa ne pensa? Guardi io sono favorevole sia alla separazione della carriere, sia alla discrezionalità dell’azione penale. L’attività investigativa dell’accusa è sempre il frutto di una scelta e chi sceglie responsabilmente dovrebbe essere chiamato a risponderne se opera una scelta sbagliata. Se un pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio e sistematicamente, o quasi, si arriva ad assoluzione lei capisce bene che c’è qualcosa che non va. In sede di valutazione del magistrato questi dovrebbero essere aspetti non secondari.
Le valutazioni professionali esistono già, quindi, così come sono disciplinate secondo lei non funzionano? Secondo me no. Per spiegarvi ciò che a mio giudizio non funziona mi servirò di un esempio. Se si concorre per un posto da primario chirurgo e vi sono due concorrenti, il primo, su cento interventi ne ha portato a termine novantacinque con esisto favorevole e risolutorio; il secondo, invece, ne ha portato a termine con esisto favorevole soltanto cinquanta, voi quale dei due vorreste diventasse primario e soprattutto da quale vorreste essere operati? Se la stessa situazione si prospettasse per due magistrati, per diventare, ad esempio, procuratore della repubblica o presidente di tribunale con le medesime statistiche in termini di condanne e assoluzioni, voi quale dei due vorreste a svolgere le funzioni anzidette e da chi vorreste essere inquisiti o giudicati? Ricordo che Giovanni Falcone non divenne Procuratore nazionale antimafia nonostante fosse il magistrato più competente al mondo nella lotta alle mafie, avesse inventato la Direzione Nazionale Antimafia e portato a termine con successo il maxiprocesso degli anni ottanta. L’approccio meritocratico unito all’esperienza favorirebbe certamente i magistrati più competenti, più equilibrati e più diligenti. Non mi sembra che i pubblici ministeri che hanno fatto errori macroscopici - pensiamo al caso Tortora - non abbiamo fatto poi carriera fino a ruoli apicali. Per me quest’ultima dovrebbe essere una anomalia da sanare perlomeno in termini di progressioni di carriera inibite.
Molti affermano che separando le carriere c’è il rischio che il pubblico ministero sia assoggettato al potere esecutivo, è veramente così?Io credo di no. In tantissime parti del mondo dove vige il processo accusatorio le carriere sono separate e non mi sembra che i pubblici ministeri siano asserviti al potere esecutivo. La cosa importante è stabilire delle regole specifiche per impedire questa ipotizzabile distorsione.