"Io da sindaco, fatemi dire, ho la coscienza a posto. Sono molto sereno perché abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, che era nei nostri poteri, per difendere questa comunità. E continueremo la nostra battaglia finché non ci sarà un tavolo dell'accordo di programma che preveda la chiusura dell'area a caldo dello stabilimento di Taranto. 
Le sentenze non si commentano. Non c'è sorpresa tutto sommato, rispetto a quello che abbiamo ricevuto oggi dal Consiglio di Stato. Alcuni passaggi meritano sicuramente un approfondimento. In ogni caso l'ordinanza sindacale dell'anno scorso segna un punto di non ritorno per tutti quanti, nessuno oggi può sentirsi assolto da questa sentenza o da responsabilità. L'ordinanza dell'anno scorso  chiamava lo Stato e tutte le istituzioni, alla responsabilità nei confronti della salute dei tarantini, nei confronti del futuro dello stabilimento siderurgico. Credo che ora la palla passi al governo, passi alla politica. Serve aprire una fase costruttiva, di dialogo, per non tornare indietro rispetto alle cose che ci siamo raccontati in questi mesi, in questi anni.Ovviamente in queste ore stiamo ancora studiando con i nostri legali i vari passaggi della sentenza e ci riserviamo anche altre iniziative in ambito europeo. Poca sorpresa oggi. Mettiamoci al lavoro sperando che il Governo abbia compreso che è il momento di dimostrare che l'Italia è un paese serio e coraggioso e per guardare avanti bisogna convocare a questo tavolo la comunità locale".  

Così il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, sulla sentenza del Consiglio di Stato che ha stabilito che l'area a caldo dello stabilimento ex Ilva di Taranto può rimanere aperta e continuare la propria attività.

La deliberazione della Sezione IV del Consiglio di Stato, decisa il 23 giugno, ha accolto gli appelli di Arcelor Mittal e di Ilva Spa in amministrazione straordinaria, annullando così l'ordinanza del 27 febbraio 2020 con cui il sindaco di Taranto aveva ordinato loro di individuare entro 60 giorni gli impianti interessati da emissioni inquinanti e rimuoverne le eventuali criticità, e qualora ciò non fosse avvenuto di procedere nei 60 giorni successivi alla "sospensione/fermata" delle attività dello stabilimento.

Con una sentenza del 13 febbraio, il Tar di Lecce aveva sposato la richiesta del sindaco, ordinando lo spegnimento dell’area a caldo  entro 60 giorni. ArcelorMittal, Ilva in amministrazione straordinaria, Invitalia (partner della nuova Acciaierie d’Italia) e ministero della Transizione ecologica (!!!) si erano opposte facendo ricorso al Consiglio di Stato.

Sulla bilancia dei giudici amministrativi, vi era da una parte la richiesta di un sindaco - quale rappresentante dell'autorità sanitaria sul territorio - di fermare uno stabilimento che  inquina mettendo a rischio la salute dei suoi amministrati, dall'altra far continuare la produzione di un'impianto strategico per l’economia nazionale che vale oltre l’1% del Pil. 

Il Consiglio di Stato, annullando la sentenza del Tar di Lecce, consente che lo stabilimento di Taranto possa continuare a produrre acciaio e, di conseguenza, possa continuare ad inquinare... con tutte le conseguenze del caso per chiunque risieda in quell'area.  Per il Consiglio di Stato non c'è un imminente pericolo per la salute.