Quella di Rosselana è una storia di schiavitù, passione, amore, intrighi, potere, sangue e poesia.
“Donna di nation Rossa, giovane non bella ma grassiada”, aveva scritto di lei Pietro Bragadin in un rapporto diplomatico al governo di Venezia.
Sulle origini di questa donna tra verità e leggenda c’era solo l’imbarazzo della scelta, tutte ben confuse a partire dal nome: Roxolana, Roksa, Roksolana e in occidente Roxelana o “la Rosselana” per i suoi capelli rossi. Infine Hürrem Haseki Sulṭān o Khurrem Sulṭān, in turco la sultana ridente. Il suo vero nome pare fosse stato Alexandra Anastasia Lisowska, almeno prima di finire nell’harem di Costantinopoli.
Oltre che nativa della Russia, che allora neppure esisteva, una terra chamata Moscovia semmai, era stata avallata anche come ucraina, polacca, persiana, perfino come un’improbabile contessa italiana. Verosimilmente era ucraina, figlia di di Hawryło Lisowski, un prete ortodosso, nata a Rohatyn forse tra il 1502 e il 1506, quando gran parte dell’Ucraina faceva parte del Granducato di Lituania, confluito poi nella confederazione con la Polonia.
Confuse pure le notizie su come Rosselana fosse finita nell’harem di Costantinopoli: rapita dai tartari, venduta a mercanti genovesi e portata al mercato di schiavi della capitale turca, secondo la più probabile. Pare l’abbia poi comprata l’albanese Ibrahim Pascià, gran visir e cognato di Solimano il Magnifico e donata al vecchio Selim I, padre di Solimano. Costui, ormai troppo anziano per certe prestazioni, l’avrebbe ceduta al figlio quando la schiava aveva circa quindici anni. Insomma, nomi, paesi d’origine e rotte commerciali non aiutano a fare chiarezza.
Fatto sta che Solimano è attratto dalla sorridente Roksolana: i due diventano intimi, confidenti, infine amanti. Lui, quando è lontano da corte perché impegnato nelle frequenti campagne militari, si fida solo delle notizie da palazzo ricevute da lei. Non è solo amore, ma anche convenienza: ha bisogno di qualcuno di affidabile che gli fornisca informazioni sulla situazione a palazzo e sceglie l’amata.
Dell’harem in occidente si aveva, e ancora si ha, uno stereotipo lontano dal vero, vale a dire un luogo di perdizione con schiave licenziose e discinte pronte a soddisfare i sollazzi di sultani debosciati. Invece l’harem era per molti versi tutt’altro: si faceva politica, si pianificava il futuro, si intrigava, oltre che tutto il resto. Era governato dalle madri e dalle mogli dei sultani e le concubine educavano i propri figli progettando per loro un avvenire migliore, cosa che poteva accadere. Nell’impero ottomano perfino uno schiavetto genovese, prediletto di un sultano, da uomo diventerà capo della flotta turca, come la schiava ucraina diventerà sultana.
Un giorno scoppia un incendio nell’harem ubicato nel cosiddetto Palazzo Vecchio, una costruzione staccata dal Topkapi, letteralmente “Porta del Cannone”, che era invece quello da cui si governava l’impero. Rosselana si trasferisce al Topkapi in attesa che la struttura venga ripristinata, ma nell’harem non farà più ritorno. È diventata una “haseki”, cioè la concubina preferita del sultano, scalzando ogni altra donna dal suo cuore.
Solimano aveva già avuto chissà quanti figli, di sicuro il primogenito Sehzade Mustafà designato quale erede legittimo, figlio della sua prima moglie, Mahi Debran Gulbahar, chiamata anche Gyulbahar, o Mahidevran. Per ironia della sorte e per sottolineare una pratica consolidata, anche questa proveniva dal mercato degli schiavi di Costantinopoli, ma è il solo aspetto che le due donne hanno in comune.
Mahidevran è rosa dalla gelosia per l’ascesa della rivale dai capelli rossi. Tra loro scoppia un alterco, vengono alle mani e Rosselana ha la peggio. Interviene Solimano con il quale la ex schiava gioca d’astuzia e dapprima si rifiuta di mostrare le ferite; Solimano insiste e lei cede solo dopo una lunga manfrina. Mahidevran viene immediatamente allontanata da corte e lui prende Rosselana come moglie ufficiale forse nel 1534. La corte ottomana è contraria al matrimonio, ma il sultano fa quello che vuole.
In verità la tradizione voleva che le preferite dei sultani avessero sostanzialmente due ruoli mai sovrapposti: amante e madre dell’erede al trono. Dopo aver dato alla luce il maschio, cessavano di essere le favorite e dovevano andarsene da palazzo con il figlio per allevarlo fino a quando avrebbe preso il posto del padre. Non sarà così per Roksolana che resterà a corte nonostante sei maternità, prima a rompere la tradizione e con grande scandalo dei dignitari della Sublime Porta, ma non sono loro a comandare.
Come Hürrem Haseki Sulṭān, Rosselana si è insediata nel centro del potere dove intrighi e complotti non finiscono mai. Tra leggende e verità, sempre ben confuse, in Occidente sulla sua fama ci si atteneva al peggio, cioè più o meno quanta ne godeva pure tra i suoi. Era dipinta come spregiudicata, assetata di potere, dedita a ogni genere d’intrallazzo. Al contrario, altre fonti ne parlano come una persona impegnata in opere di bene, protettrice degli studiosi e della religione, una delle donne più istruite e colte del tempo: riceveva ambasciatori, intratteneva corrispondenze con sovrani, nobili e artisti di tutto il mondo. Un personaggio controverso, esattamente come la sua storia.
Secondo i nemici tra le sue vittime c’era stato Ibrāhīm Pascià, gran visir nominato da Solimano: era stato ucciso e le sue proprietà confiscate. Pare che Hürrem mal tollerasse l'influenza di Ibrahim sul sovrano e il suo appoggio per la successione al trono di Sehzade Mustafa, a sua volta messo a morte con l’aiuto di un altro gran visir, Rustem Pascià. Secondo voci più benevole, invece, Rosselana avrebbe scoperto un complotto di Mustafà contro il padre e il sultano non ci aveva pensato due volte a farlo strangolare, salvo poi vegliarne il corpo per giorni impedendo a chiunque di toccarlo. In realtà Solimano amava i figli tanto quanto la moglie, ma la questione della successione alla Sublime Porta, con eredi che tentavano di prendere anzitempo il posto dei padri ammazzandoli, stava diventando una situazione imbarazzante per la monarchia ottomana e qualcosa andava fatto. Decise per le spicce.
Per altro, in assenza di norme precise per regolare la successione, la legge del fratricidio inserita nel Kanunname, in pratica il codice delle leggi, sanciva che, con l’assenso dei dottori garanti della legge coranica, detti Ulema, il sultano potesse uccidere i propri parenti in modo da sbarazzarsi di possibili pretendenti. Insomma, pare valesse il detto nostrano “poca brigata, vita beata”.
Solimano e Rosselana violeranno un’altra legge della corte ottomana: la concubina, infatti, non avrebbe potuto avere più di un figlio maschio, ma Hürrem ne avrà ben cinque, più una femminuccia. Incapaci di spiegare come possa aver raggiunto tanto potere, i suoi contemporanei l'accuseranno addirittura di aver stregato il sultano.
Tristissima la sorte dei figli: l’ultimo maschio, Cihangir, muore di dolore per la sorte toccata al fratellastro Mustafà al quale evidentemente era molto legato; Mehmet di vaiolo, Abdallah e la piccola Mihrimah in tenera età. Rimangono Selim e Bayezid.
Quest’ultimo si comporta come se fosse già sul trono scavalcando il padre, dispone, comanda, riceve ambasciatori come se il sultano vero non contasse nulla. Ma la goccia che fa traboccare il vaso è quando tenta di far fuori il fratello Selim, l’ultimo nato e, pare, prediletto da Roksolana. Il tentativo fallisce e Bayezid con dodicimila armati si rifugia in Persia, un traditore per i suoi, a quel tempo in guerra con i persiani. Per lui le cose volgono presto al peggio perché i due imperi firmano la pace e Solimano impone come condizione che gli uomini di Bayezid vengano tutti uccisi. Lui e i suoi cinque figli gli sono invece consegnati e sarà il sultano in persona a ordinare l’esecuzione dell’intera famiglia nel 1561. Costo dell’operazione quattromila monete d’oro che lo shah persiano Tahmasp incassa a lavoro ultimato.
Nel frattempo Rosselana si è ammalata. Solimano non si allontana un solo giorno dal suo capezzale, ordina perfino il rogo di tutti gli strumenti musicali di corte per non disturbare la sua quiete, ma la sposa spira tra le sue braccia il 18 aprile del 1558. Viene inumata in un mausoleo decorato con scene del Paradiso Terrestre. Poco distante sarà eretto quello del marito ed entrambi annessi alla moschea che porterà il suo nome.
Dopo la morte di Roksolana, Solimano il Magnifico, che qualche pecca se l’era dovuta pur riconoscere, vivrà il resto dei suoi giorni distrutto dal dolore, in solitudine, triste, sempre più lontano dalla gestione del potere. Scriverà poesie dedicate all’amata. Morirà il 6 settembre 1566 durante l’assedio di Szigetvár in Ungheria. Aveva annunciato che quella sarebbe stata la sua ultima campagna militare e che non sarebbe tornato. Sarà di parola.
Nei secoli soprattutto l’aspetto amoroso di questa storia ha ispirato scrittori e artisti e pure lo scrivente, che artista non è mai stato e come scrittore è solo un dilettante, ha pensato di accennarne nel suo libro Il Signore di Notte, un giallo ambientato a Venezia nel 1605.
Gustavo Vitali
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