Il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati rilancia un articolo di Jorge Costadoat - religion digital.
"Si è parlato di una ricezione latinoamericana creativa e selettiva del Vaticano II. Per quanto riguarda la formazione del clero, va precisato che questa ricezione è stata incompleta e involutiva in punti cruciali. Tra l’altro, lo stesso Concilio non ha reso sufficientemente esplicita la riforma da esso promossa, poiché non ha realizzato l’armonizzazione teologica di documenti come «Lumen gentium», «Presbyterorum ordinis» e «Optatam totius». Ciascuno di questi ha dato un contributo, ma ha comportato anche parametri della formazione tridentina e della teologia scolastica, oggi del tutto inutile.
Nei documenti latinoamericani che vogliono fare propri i testi conciliari (Medellín, Puebla e Aparecida, e le «rationes nationales» per la formazione dei preti), è possibile individuare una delle cause del clericalismo di cui si lamentano i/le laici/laiche del continente.
Nella Sintesi narrativa latinoamericana per l’Assemblea ecclesiale la gente si lamenta: «Il clericalismo comincia a formarsi a partire dall’ingresso in Seminario dei candidati al Sacramento dell’Ordine» (117). Inoltre, la Chiesa latinoamericana e caraibica è ben lungi dall’affidare al Popolo di Dio nel suo insieme, laici e ministri, la responsabilità della formazione dei suoi presbiteri; così come, per ragioni analoghe, è ancora difficile pensare ad un «redde rationem» dei vescovi e dei preti verso i laici (accountability); e, inutile dirlo, in un’elezione ed eventuale rimozione da parte dell’insieme del Popolo di Dio.
Una questione centrale, anche se non sufficientemente esplicitata dal Concilio, è l’importanza che deve avere la costruzione dialettica dell’identità dei preti («Lumen gentium» 10). Il Concilio parte dal presupposto che tutti/e i/le battezzati/e costituiscono un popolo sacerdotale e che i ministri sono al servizio della realizzazione del loro sacerdozio.
Perché i presbiteri possano svolgere efficacemente questa missione, è necessario che i seminaristi diventino idonei attraverso una crescita umana insieme alle persone, uomini e donne; che acquistino una formazione intellettuale che li prepari a comprendere la vita delle persone e le sfide del mondo di oggi; e osino sperimentare nuove modalità pastorali basate soprattutto su testimonianze condivise, tra le quali non deve mai mancare la propria.
Se non lo faranno, sarà, come spesso accade, inutile la formazione tridentina di funzionari ecclesiastici. Sarà un ostacolo. I preti non possono continuare a essere formati tra quattro mura da una casta che sceglie se stessa, e determina da sé e prima di sé chi è adatto. Altrettanto problematica sarebbe la formazione delle donne prete, se svolta in chiave tridentina. La Chiesa ha bisogno di ministri che, in forza dello Spirito, siano capaci di agire «in persona Christi» non meno che «in nomine Ecclesiae».
I preti, separati dal Popolo di Dio come persone sacre, formate anzitutto a compiere sacrifici eucaristici, si allontanano dai/dalle cristiani/e in una direzione esattamente opposta a quella che il Vaticano II ha voluto dare alla Chiesa per compiere la sua missione nel comprendere i segni dei tempi e nell’annunciare il Vangelo.
L’Instrumentum laboris preparatorio al Sinodo in corso (2023-2024) è povero in questa materia. Ma è il Sinodo stesso che ha l’ultima parola".
Articolo pubblicato il 29.07.2023 nel Blog dell’Autore («Cristianismo en costrucción») in Religión Digital (www.religiondigital.com). Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI