La giustizia secondo Israele che condanna un tredicenne a 12 anni di carcere
Qualche giorno fa, sul quotidiano Haaretz, la giornalista e opinionista Amira Hass ha pubblicato un articolo intitolato How to Make Revenge Even Sweeter. Nel pezzo, la Hass si domanda per quale ragione Israele abbia condannato a 12 anni di carcere un bambino di 13 anni e 9 mesi che non ha fatto del male a nessuno.
La vicenda è quella di A. (il nome non può essere diffuso sui media secondo la legge israeliana) che, insieme a suo cugino Hassa Manasra, è andato nella colonia di Pisgat Ze’ev a "spaventare gli ebrei armati di coltelli", secondo quanto da lui dichiarato. Inutile spiegarne il motivo. A. ha detto che lui e suo cugino non volevano uccidere nessuno.
Suo cugino Hassa Manasra però ha ferito un ragazzo, nonostante A. - sempre in base alla sua testimoninaza - abbia cercato di impedirglielo, e per questo è stato ammazzato dalla polizia di frontiera, anche se aveva la possibilità di arrestarlo.
Quindi, A. è stato arrestato e processato per tentato omicidio. A. non ha ancora raggiunto i 14 anni di età e per la legge israeliana, confessando di aver progettatto e tentato di uccidere qualcuno, avrebbe potuto evitare il carcere. Ma A. non lo ha fatto. Perché? Perché la verità è che lui non aveva intenzione di uccidere. A., pertanto, si è rifiutato di dire il falso.
I giudici non gli hanno creduto e lo hanno condannato a 12 anni di carcere che A. ha iniziato a scontare immediatamente nella prigione di Megiddo, nel nord di Israele. L'opinione pubblica israeliana chiedeva vendetta e vendetta ha ottenuto.
Va detto, per correttezza, che non sempre i giudici israeliani si comportano in questo modo. Vi sono dei casi in cui il giudizio è applicato razionalmente considerando l'età degli imputati e le situazioni. Ma questa volta non è accaduto.
Un piccolo fatto che non riesce a raggiungere l'attenzione dei media, almeno in Italia. Qua da noi ottiene la prima pagina l'indignazione del presidente del Consiglio per un presunto insulto ad Israele perché una località verrebbe indicata solo con il suo nome arabo, una cosa inaudita! Invece, un bimbo che viene condannato a 12 anni di carcere perché si è rifiutato di testimoniare ciò che non ha mai avuto intenzione di fare non è degno di attenzione.
Il fatto che il bimbo sia palestinese può esserne la spiegazione più plausibile? C'è da crederlo.