La divisione investigativa criminale della polizia militare dell'esercito israeliano non prevede di indagare su quanto accaduto in relazione all'uccisione di Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese-americana della rete televisiva Al Jazeera, uccisa a Jenin lo scorso 11 maggio da un proiettile che l'ha colpita al volto, nonostante avesse un elmetto e un giubbotto antiproiettile con su stampata ben visibile la scritta Press.

Lo ha anticipato in esclusiva Haaretz, senza però citare la fonte, indicando come possibile ragione di ciò il fatto che un'indagine del genere richiederebbe l'interrogatorio dei membri delle forze di sicurezza israeliani che quel giorno erano presenti nella zona, il che probabilmente accenderebbe in Israele una serie di polemiche che le autorità vogliono evitare, anche per la situazione politica che nuovamente fa ipotizzare l'ennesima crisi istituzionale con l'ennesimo ricorso alle elezioni.

Testimoni e giornalisti presenti sul posto  al momento degli spari che hanno causato la morte di Shireen Abu Akleh ed il ferimento di un collega che l'accompagnava affermano che, senza alcun dubbio, a far fuoco siano stati solo gli israeliani.  

La tesi è stata confermata nel fine settimana anche da Bellingcat, un consorzio internazionale di giornalisti investigativi con sede in Olanda, che è arrivato a tale conclusione dopo un'analisi delle prove audio e video raccolte sui social media.

Il materiale proveniva da fonti militari sia palestinesi che israeliane e l'analisi ha preso in considerazione fattori come timestamp, posizioni dei video, ombre e un'analisi audio forense degli spari.

La stampa israeliana, invece, riporta le dichiarazioni di Jonathan Conricus, ex portavoce militare dello Stato ebraico, che ha dichiarato che ricostruire uno scontro a fuoco in un terreno urbano densamente popolato è "molto complesso", aggiungendo che le prove forensi, come il proiettile, sono fondamentali per raggiungere conclusioni definitive e per questo ha accusato l'Autorità Palestinese di rifiutarsi di collaborare alla richiesta di un'investigazione congiunta sulla morte della giornalista di Al Jazeera.

"Senza il proiettile, qualsiasi indagine sarà in grado di raggiungere solo conclusioni parziali e discutibili", ha affermato Conricus. "Si potrebbe presumere che la strategia dell'Autorità Palestinese sia esattamente questa: negare a Israele la capacità di riabilitare il suo nome, facendo leva sulla simpatia globale per la causa palestinese".

In realtà i palestinesi - e come sarebbe possibile dargli torto - hanno rifiutato dicendo semplicemente che non si fidano di Israele, invitando altri Paesi a partecipare alle indagini, oltre a voler portare anche questo caso all'attenzione della Corte Penale Internazionale.


Crediti immagine: la bodycam conferma la presenza dell'Idf a circa 200 metri a sud nella stessa strada in cui si trovava la giornalista di Al Jazeera. (fonte Bellingcat)