Sovranità nazionale condizionata - il caso Moby Prince
(1 parte)
Nel territorio comunale di Pisa, a est della frazione di Tirrenia, vi è un'installazione militare americana facente capo allo United States Army of Africa centralizzato nella Caserma Ederle di Vicenza ma alle dipendenze dello Stato maggiore dell'Esercito italiano rappresentato da un solo ufficiale di alto grado all’interno della base statunitense.
Questo presidio militare fu istituito nel 1951 grazie a un accordo tra l’Italia e gli Stati Uniti che cedette mille ettari di pineta toscana situata nella Tenuta di Tombolo sita nel comune di Pisa per la costruzione di una base militare dove sono tutt’ora stanziati e operano reparti militari statunitensi.
La base, chiamata in precedenza USAG Livorno, è stata riorganizzata come sito satellite dello United States Army Garrison (USAG) Italy e rinominata dal 3 ottobre 2015 Darby Military Community, la quale include lo stesso Camp Darby, il deposito di armamenti vari di Livorno e il deposito munizioni di Pisa dello United States Army of Africa: tali centri sono parte integrante del circuito operativo militare della NATO.
Quella zona è stata scelta non certo per caso infatti la vicinanza di un canale navigabile (il Canale dei Navicelli), della ferrovia (entrambi si estendono fin dentro la base) e dell'autostrada permette un facile e veloce collegamento sia con il porto di Livorno che con l'aeroporto militare di Pisa agevolando lo spostamento di mezzi e materiali a supporto delle missioni operative e umanitarie.
Sul litorale pisano, tra il lido dei Carabinieri e La Perla, la base americana disponeva anche di un notevole tratto del litorale toscano ad uso esclusivo del personale, l'unica spiaggia statunitense in Europa: solo il 30 dicembre del 2014 è stato chiuso e restituito al Comune di Pisa. Dagli anni '60 in poi era una delle attrazioni più popolari di Tirrenia. In particolare ogni estate il 4 luglio, festa nazionale statunitense, vi si svolgevano spettacoli di fuochi d’artificio e molti stabilimenti limitrofi organizzavano serate a tema.
In questo contesto si innesta la tragedia della Moby Prince che è costata la vita a 140 innocenti tra il personale e i passeggeri compreso il comandante che non ha mai lasciato la sua nave. Un incidente sul mare può sempre accadere ma come mai quella sera dell’11 aprile del 1991 un traghetto passeggeri che parte dal porto di Livorno diretto ad Olbia seguendo una rotta prestabilita autorizzata dalla Capitaneria si scontra con una petroliera all’ancora fuori dal porto e viene abbandonato al proprio destino mentre l’Agip Abruzzo viene soccorsa e il personale evacuato.
È impressionante ascoltare il comandante della petroliera richiedere aiuto immediato dicendo alla capitaneria di non confondere la sua nave con l’altra; sentire il “Mayday” del comandante della Moby Prince venire coperto da un disturbatore di frequenze, una interferenza che può essere prodotta solo dai sistemi militari.
Riassumendo più di 30 anni di processi emerge un quadro viziato dalla malafede e da complicità: sono le istituzioni affiancate dalla stampa ad erigere un muro di gomma, una cortina di nebbia tanto per restare in tema, sull’intera vicenda: perché sacrificare 140 innocenti?
Allora venne dato l’avvio ad una campagna di disinformazione che poggiava su tesi che rasentavano l'illogicità patologica; venne affermato pubblicamente che la petroliera era regolarmente ancorata in rada e la collisione tra le due navi era avvenuta dopo che il comandante del traghetto aveva impostato rotta e velocità di crociera per Olbia fin dall’uscita del porto. Riportando le coordinate trasmesse subito dopo la collisione dal comandante della petroliera su una carta nautica, si nota come essa rientri senza alcun dubbio all'interno del triangolo della zona percorsa dalle imbarcazioni in uscita dal porto, nel quale è proibito a qualsiasi imbarcazione di restare alla fonda o pescare. Questo è l’elemento che fornisce la chiave di lettura dell’intera vicenda infatti la disinformazione narrò che il comandante e l’equipaggio del Moby Prince quella sera erano particolarmente disattenti ed in particolare il comandante aveva assunto un rischio di navigazione inaccettabile avendo lasciato il portellone prodiero aperto e l’impianto antincendio disattivato: fu appurato che tali situazioni - ed altre - furono frutto di manomissioni e sabotaggi infatti due giorni dopo l’accadimento, mentre i soccorritori iniziavano a recuperare i corpi delle vittime due uomini della compagnia di navigazione salirono a bordo per manomettere e sottrarre prove dalla scena del crimine: questo fu stabilito giudizialmente.
Per rendere più grottesca la vicenda si aggiunse un’improvvisa nebbia che apparve dinanzi il traghetto sorprendendo il povero capitano che incautamente accendeva i fari, così facendo si auto-accecava, di conseguenza, non riuscendo più a vedere il tratto di mare antistante la sua nave pilotò il traghetto contro la petroliera. Dare la colpa ai morti è facile e soprattutto comodo.
Fu diffusa la menzogna che la morte dei passeggeri e dell’equipaggio fu rapida in quanto il traghetto collidendo con la petroliera squarciò una cisterna e un grande quantitativo di greggio incendiato si riversò immediatamente nella nave passeggeri devastandola ciò limitò i tempi di sopravvivenza al tempo massimo di 20/30 minuti ma non hanno mai spiegato il recupero di un superstite un’ora e venticinque minuti dopo la collisione il quale affermava che vi erano ancora molte persone vive che aspettavano di essere salvate.
Lo scopo era evidente, sin dall’inizio si doveva nascondere ciò che stava realmente accadendo nella zona fuori dal porto di Livorno e garantire l’impunità a tutti i responsabili del mancato soccorso partendo dalla Capitaneria di Porto e ai responsabili degli interventi di soccorso attivati per l’occasione.
Infatti fu archiviato il procedimento a carico del comandante della Capitaneria di Livorno l’ammiraglio Sergio Albanese che prese il comando delle operazioni alle 23.00 perché la sentenza stabiliva che le vittime erano tutte decedute alle ore 22.55: si salvò da una condanna per 5 minuti.
Il Presidente del Collegio Giudicante del Primo Processo Moby Prince, nonché allora Capo dei G.I.P. della Procura di Livorno, Dott. Germano Lamberti, è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione (sentenza del 18 novembre 2013) a quattro anni e nove mesi di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici, per corruzione in atti giudiziari in merito ad una vicenda di abusi edilizi operati nell’Isola d’Elba avvenuta poco tempo dopo la stesura della sentenza del Processo Moby Prince.
Cosa è veramente accaduto quella triste sera dell’aprile del 1991?
Era risaputo che nel porto di Livorno si è sempre trafficato molto sia legalmente che illegalmente (armi e petrolio). Le armi destinate ai vari conflitti medio orientali provenivano dai depositi americani di armamenti vari e munizioni di Livorno e di Pisa che venivano trasbordate utilizzando navi mercantili militarizzate. La notte si caricava di tutto – esclusi aerei e bombe atomiche – venivano spedite in Medio Oriente ogni genere di armi e munizioni, era in corso la guerra del Golfo e nel Porto di Livorno la notte vi era un via vai continuo di navi e bettoline "americanizzate".