Gianfranco Viesti, professore di economia all'università di Bari, membro del comitato direttivo della rivista il Mulino e del comitato di indirizzo della Fondazione Italianieuropei, è stato intervistato dal periodo della Cgil Rassegna Sindacale per un giudizio relativo al decreto Sud predisposto dal governo Gentiloni. Quelle riportate di seguito sono le considerazioni espresse al riguardo.

«Non è una cosa cattiva sostenere l’autoimprenditorialità, ma è come partire dalla fine e non dall’inizio. Senza migliorare le condizioni complessive del Sud, senza azioni per il rilancio della domanda interna. Se questa è ancora debole, non vi sono certo condizioni per favorire lo stimolo a intraprendere. Di contro, c’è poca visione, mancano ancora le politiche ordinarie. Non ci sono novità sulla sanità, sull’istruzione, sui trasporti.

L’austerità è stata asimmetrica, ha colpito più il Sud che il resto del Paese. Questo sia per ragioni strutturali che per scelte politiche. La tassazione è aumentata per lo più su scala locale e soprattutto nel Mezzogiorno, gli interventi sulla spesa hanno avuto una forte componente territoriale, sia per la riduzione degli investimenti pubblici, sia perché nelle grandi politiche di spesa ci sono state scelte che hanno penalizzato il Sud. Dopo una lieve ripresa negli ultimi due anni, gli investimenti pubblici sono tornati a diminuire.

A esser buoni [riguardo al decreto Sud, ndr.] possiamo parlare di programmazione, ma non sfugge a nessuno che si sono caricati di enfasi comunicativa questi interventi, perché il governo è sensibile alle imminenti scadenze elettorali.

Tanto bricolage, poca strategia. [Il decreto Sud, ndr.] è stato concepito come un contenitore di norme piuttosto disparate. L’elemento più rilevante è la grande enfasi comunicativa: qualcosa effettivamente è stato fatto e quel qualcosa risalta, perché il governo Renzi non ha fatto nulla. Sfugge il senso generale degli interventi, largamente insufficienti per la profondità della crisi.

Le decontribuzioni [sugli stipendi, ndr.] sono interventi diretti per l’occupazione che possono accompagnare politiche di sviluppo, ma un ruolo centrale lo devono avere gli investimenti pubblici. Ci deve essere un impegno del privato, del sistema produttivo ad assumere giovani qualificati, ma il pubblico deve fare la sua parte. Il blocco del turn over, le politiche fiscali, i tagli dei trasferimenti agli enti locali non hanno certo aiutato l’occupazione.

Partiamo dagli investimenti: su questo il governo qualcosa sta facendo, penso agli iperammortamenti. Bene in senso congiunturale, ma con la crisi abbiamo assistito a un calo degli investimenti. Qualcosa si è recuperato negli ultimi due anni, anche se siamo ancora a livelli molto più bassi del periodo pre-crisi. Quanto alle imprese, il problema c’è: quella della struttura, dimensione, specializzazione di prodotto, innovazione, è centrale. Ma allo stesso tempo, per lo sviluppo delle imprese, occorre determinare condizioni complessive, dalle infrastrutture alla legalità. È in particolare su questo versante che manca ancora una strategia e una visione che guardi all’intero Paese, non solo al Sud.»