Si è conclusa ieri la tre giorni, che si è svolta Lecce, che ha celebrato la terza edizione de Le giornate del Lavoro che quest'anno aveva come titolo la SfidaXiDiritti, iniziativa promossa dalla Cgil ricca di appuntamenti e dibattiti dedicati al problema del lavoro.

Prima dell'appuntamento di chiusura affidato ad un concerto dei MODENA CITY RAMBLERS, sul palco allestito in Piazza S. Oronzo nel tardo pomeriggio c'è stata l'intervista a Susanna Camusso, condotta dal giornalista Massimo Giannini, dove il segretario della Cgil ha parlato di Europa, patrimoniale, riforma del fisco, pensioni, Jobs Act, abolizione dei voucher, contratti.

Sul tema Europa, Camusso ha affermato che «in tutta Europa i diritti vengono messi fortemente in discussione, perché ha perso la sua anima. Questa non è più l’Europa dei popoli, del welfare e dell’innalzamento delle condizioni delle persone. Se il pensiero della sinistra non riesce a distinguersi dal liberismo, è difficile ritrovare l’anima vera dell’Europa. Questo è un grande nodo che si sottovaluta. La nostra Carta dei diritti dice proprio questo: bisogna ripartire dai valori del lavoro. La flessibilità non ha funzionato, quindi si potrebbe e dovrebbe tracciare una riga e fare scelte diverse. Invece si continua a insistere su posizioni fortemente ideologiche.»

Poi, il segretario della Cgil ha parlato di ripresa, che non può certo intendersi come miglioramento delle condizioni di vita delle persone e riduzione delle disuguaglianze: «Stanno finendo gli ammortizzatori sociali, le persone vedono davanti a sé un peggioramento. I dati sull'occupazione giovanile sono impercettibili, c’è una emigrazione da dopoguerra, diminuiscono le iscrizioni all’università e aumenta l’abbandono scolastico. Nella condizione quotidiana delle persone, insomma, ci si sente diffusamente più poveri. Il cambiamento vero si misura con la diminuzione delle disuguaglianze, ma noi questo non lo vediamo, se non in piccole sacche dell’economia del paese. Bisognerebbe proteggere chi è più in difficoltà, invece si investe ancora sul versante delle imprese. Continuiamo così ad avvitarci nella crisi.»

E per far ciò, per risolvere il problema delle risorse, queste «si possono trovare in una revisione del sistema fiscale, lavoratori e pensionati ora pagano più di tutti. È forse un delitto la patrimoniale che c’è in tutta Europa? Addirittura nell’America di destra, pre-Obama, si parlava di ridurre la forbice tra i più ricchi e i più poveri. Forse non risolverebbe tutto, ma potrebbe cambiare il clima e aumentare la giustizia sociale. Negli ultimi 48 mesi ne abbiamo sentiti parecchi, di annunci [sul fisco]. Che ci sia bisogno di un intervento sul fisco lo sappiamo da molto tempo. Sul fatto che sia la volta buona, abbiamo dei dubbi. L’intervento sull’Irpef senza progressività non sarebbe un’operazione di giustizia fiscale. Dove taglieranno? Bisognerebbe fare riforme strutturali che determinino progressività e semplificazione, con principi di equità e che distinguano tra finanza e proprietà immobiliare da una parte, e lavoro e produzione dall’altra. La sensazione è sempre che si inseguano promesse dal forte sapore elettorale.»

Un aspetto positivo nelle relazioni tra sindacati e Governo si è avuto con la riapertura del dialogo su pensioni e mercato del lavoro: «Accogliamo positivamente l'apertura del confronto, ma deve muoversi ed essere efficace, urgono risposte. C'è l'impegno del ministro Poletti che rassicura sul fatto che non ci saranno atti unilaterali, ma poi leggiamo sui giornali del decreto del Cdm su temi che avremmo dovuto mettere in agenda; e oggi l'intervista al sottosegretario Nannicini, il quale ricomincia col ritornello che il governo ascolta ma poi alla fine decide lui.»

E sul Jobs Act, Camusso ha ricordato che «non è un mistero per nessuno che non abbiamo mai condiviso quella legge. Cosa vuol dire nuovi posti di lavoro? Rispetto a quelli persi, ne abbiamo recuperati solo una parte, ma c'è ancora un bel po' di strada da fare. Non c'entra il Jobs Act. Il governo ha stanziato 15 miliardi per la decontribuzione, noi li avremmo usati per fare un piano straordinario per l'occupazione giovanile. Criticammo subito la scelta dei voucher, mentre si faceva il Jobs Act. A quelle obiezioni, Poletti già allora rispondeva con la tracciabilità. È solo un cerotto, non basta. I voucher hanno favorito, non in un sottoscala misterioso, ma in grandi aziende del paese, la possibilità di pagare un pezzo e far scivolare nel nero tutto il resto. C'è addirittura chi racconta che è diffusa la pratica di intestarli a parenti e amici. Se una cosa non funziona, va cancellata, esattamente come riuscimmo a fare con l'associazione in partecipazione. La comunicazione 60 minuti prima, di cui ha parlato Poletti, non risolverà nulla, se non l'odiosa pratica dell'attivazione quando capita un infortunio. Siamo lontani da ciò che serve per combatterne l'abuso.»

E per quanto riguarda il tema dei diritti e delle tutele del lavoro, il segretario della Cgil ha ricordato l'iniziativa referendaria portata avanti dal suo sindacato con la Carta dei diritti universali del lavoro: «Se rischiamo una sconfitta sull'articolo 18, come avvenne con la scala mobile? Non si possono paragonare le due situazioni storiche, sono molto diverse. Il referendum ha in sé la possibilità di una sconfitta, ma stiamo provando a conquistare qualcosa, anche con strumenti non tradizionali. È vero che negli scorsi anni abbiamo anche commesso degli errori soprattutto nei confronti della precarietà. Abbiamo sbagliato immaginando che il precariato fosse un fenomeno transitorio. Non c’è dubbio, ma poi abbiamo provato a recuperare. Se questo è vero, non è invece vero che siamo stati o siamo solamente il sindacato degli occupati. Chi lo dice fa un torto alla storia della Cgil e delle altre organizzazioni sindacali di questo Paese. I disoccupati, la protezione dai licenziamenti e gli ammortizzatori sociali sono sempre stati al centro della nostra azione.»

E sull'indicazione di maggiore produttività, proposta dal nuovo presidente di Confindustria Boccia, per bilanciare la caduta del potere d'acquisto dei salari, Susanna Camusso ha risposto che «se non si investe e non si innova, cos’è la produttività? Davvero è il frutto della sola quantità di lavoro dei singoli? Questo è un dibattito molto vecchio. La contrattazione aziendale si fa nel 18-19% delle aziende, mentre l’80% delle imprese sta sotto i 9 dipendenti. È vero, nelle grandi imprese si fa contrattazione di secondo livello, ma nell’80% dei casi la produttività continua a non crescere. Non si può quindi pensare di risolvere i problemi continuando ad abbassare la massa salariale. È questo il nodo che impedisce di rinnovare oggi il contratto dei metalmeccanici: Federmeccanica vuole concedere l’aumento salariale solo al 5% dei lavoratori, non è così che ripartiranno i consumi.»

Infine, il tema pensioni con gli adeguamenti promessi, anche se non dati per certi, dal Governo: «Quelle al minimo sono così basse che l'obiettivo è importante. Non saremo noi a dire che gli 80 euro non servono, ma serve anche un intervento strutturale, come serve sulla sanità, perché se 9 milioni di persone rinunciano a curarsi bisogna intervenire. - In merito all'Ape (il prestito ipotizzato dal Governo Renzi per permettere di andare prima in pensione - questa misura non è stata mai presentata e dopo l'esperienza negativa della Fornero, fatta senza un confronto, può essere pericoloso. Sono in tanti ad avere un sistema misto, in parte contributivo, e che quindi saranno oggetto di penalizzazione. Noi chiediamo la modifica alla flessibilità delle pensioni, non che si prestino dei soldi con un mutuo legato a banche e assicurazioni. E comunque, se la logica è quella dell'anticipo, allora perché non pensare che possa farlo l'Inps? Ma soprattutto, quanti anni si deve lavorare per andare in pensione, non ne bastano 41? Speriamo che si riprenda a discutere davvero, ci auguriamo che arrivi presto una convocazione del governo.»