Era settembre 2011 quando l'Espresso usciva in edicola con una copertina e un corposo articolo sullo scandalo dell'evasione fiscale della "Santa" Sede. Evasione considerata reato per le ditte e i comuni cittadini ma tollerata, quando non addirittura favorita da gran parte della politica, quando a evadere sono le tonache.
Già allora si stimava che le proprietà immobiliari della chiesa formassero un patrimonio UNICO sulla faccia della terra sul cui reddito di fatto non veniva richiesto ne applicato se non in minima parte, alcun obbligo fiscale.
A rendere inoltre obiettivamente difficoltoso quantificare gli ammontare esatti delle cifre in discussione, la chiesa da secoli si è applicata con impegno e successo, grazie al depistaggio portato avanti con l'intestazione dei beni spalmata su una pletora infinita di soggetti dalla fisionomia e dalle caratteristiche organizzative e figure giuridiche più disparate.
Si parla di aspirantati, commissariati, case sante, pie società, arcidiocesi, curie generalizie, arciconfraternite, capitoli, seminari pontifici, pellegrinaggi, vescovadi, stabilimenti, sodalizi, postulazioni generali, segretariati, asili, confraternite, nunziature, segnature apostoliche ecc.
Poiché l'esenzione fiscale riguardava e riguarda anche le attività commerciali, i radicali sottoposero la questione alla Corte di Giustizia Europea per violazione delle regole della concorrenza, la quale Corte pur riconoscendo l'illegalità del comportamento italiano nei riguardi della chiesa, alzava bandiera bianca adducendo l'impossibilità di fatto di quantificare (neanche con approssimazione) l'ammontare delle contestazioni. E tutto rimase come prima.
Sono passati undici anni e oggi tutti noi siamo chiamati a sopportare sacrifici di ogni genere per la serie di mazzate che si sono abbattute sul mondo, e sull'Europa in particolare, ma da questi sacrifici, i preti riescono a svicolare in barba anche a quella "moralità" che loro stessi vanno predicando senza la minima vergogna. Anzi assistiamo pure all'indegno spettacolo di "Santi" Padri che si spartiscono copiosi malloppi con familiari e faccendieri. Eppure un sistema per recuperare almeno una parte del maltolto ci sarebbe.
Visto che la stima del danno per l'erario (e quindi per tutti noi) varia tra i quattro e i sei miliardi di euro l'anno, nell'impossibilità di colpire esattamente tutti i cespiti sottratti alle tasse, i servizi pubblici resi gratuitamente agli enti ecclesiastici ecc. ecc. almeno con l'abolizione dell'8x1000 si potrebbe recuperare un miliardo l'anno.
Quindi in una paese dove la gente scende in piazza se solo le pestano un callo, sarebbe ora, che di fronte all'aumento della benzina della spesa alimentare, delle bollette ecc. ci si svegliasse e si scendesse in piazza per reclamare una maggiore equità chiamando anche i preti ai sacrifici che tutti dobbiamo fronteggiare.