Dopo più di 20mila morti (considerando i dispersi), Bernie Sanders ha "in parte" abbandonato il precedente equilibrismo sul conflitto in atto a Gaza, denunciando il genocidio nella Striscia e iniziando a sostenere misure per incalzare il presidente Biden a prendere atto di quanto sta accadendo.

Infatti, il senatore del Vermont ha depositato una risoluzione per obbligare il Dipartimento di Stato a presentare entro 30 giorni un rapporto sulle pratiche israeliane in materia di diritti umani.

"La portata della sofferenza a Gaza è inimmaginabile, sarà ricordata tra alcuni dei capitoli più oscuri della nostra storia moderna", ha affermato Sanders in una nota, sottolineando che l'uccisione di quasi 19.000 persone e il bombardamento indiscriminato del territorio da parte di Israele "viene effettuato con bombe e denaro americani".  Tuttavia, Sanders si è opposto alla fine della guerra a Gaza, sostenendo che non può esserci un cessate il fuoco permanente con Hamas. La risoluzione, ai sensi della legge sull'assistenza estera, dovrà essere discussa e non può essere bloccata dalle richieste di altri senatori.

L'amministrazione Biden è sempre più in imbarazzo nel supportare Israele. Il sostegno da parte di amministrazioni dem allo Stato ebraico non è mai mancato nel corso degli anni, sia per l'attività lobbistica dei sionisti americani, sia per motivi esclusivamente geopolitici. Oggi il problema è che il presidente in carica, sostenendo il genocidio in atto, sta perdendo fette di elettorato consistenti tra gli elettori più giovani e, in base ai sondaggi, per questo ha perso la maggioranza negli Stati chiave che tre anni fa gli avevano permesso di vincere le elezioni. 

Anche tra i funzionari della Casa Bianca, a partire dal Dipartimento di Stato, vi è sconcerto per il sostegno dato a Israele, mentre si fanno sempre più frequenti le visite dei membri dello staff di Biden in Medio Oriente: l'ultima è quella del consigliere per la sicurezza nazionale.

Ieri Jack Sullivan si è incontrato con i ministri del gabinetto di guerra del governo israeliano, ad iniziare da Netanyahu. Oggi si è recato a Ramallah per parlare con il presidente dell'Autorità Palestinese, Abu Mazen. Non è che, in base ai resoconti ufficiali, i risultati del viaggio siano stati di qualche utilità. A Tel Aviv, Sullivan ha raccolto le stesse affermazioni che oramai i sionisti stanno ripetendo da un paio di mesi e cioè che la guerra (contro i civili) finirà una volta sconfitta Hamas. In Cisgiordania, invece, ha raccolto le doglianze del presidente palestinese. Niente di più e niente di meno di quanto Blinken aveva ascoltato nei suoi precedenti viaggi. Le sole cose che da allora sono cambiate sono i  numeri delle violenze perpetrare dai militari dell'IDF sia a Gaza che  (anche se in misura minore) in Cisgiordania.

In queste ore, gli attacchi nel sud della Striscia, se possibile, si sono fatti persino ancora più intensi.

In ogni caso, la strategia politica israeliana e americana (inutile parlare di quella Europa, un'unione supportata da leader patetici che prendono le loro decisioni dopo aver telefonato a Washington) è riuscita a creare delle convergenze, se non future alleanze, tra Stati che fino a qualche mese fa si parlavano solo per mezzo delle minacce e delle armi, come dimostra il vertice odierno tra i ministri degli Esteri di Iran e Arabia Saudita, riunitisi sotto la supervisione del ministro degli Esteri cinese.

E mentre Israele e Hamas continuano a lanciarsi missili e razzi, con le brigate Qassam che questa sera hanno iniziato a prendere di mira anche Gerusalemme, gli Houthi in Yemen hanno ottenuto quello che volevano con i loro attacchi sul mar Rosso, con il colosso danese Maersk che, per motivi di sicurezza dopo un fallito tentativo di attacco ad una sua nave, ha dichiarato di aver sospeso fino a nuova comunicazione il transito delle sue navi nello stretto di Bab al-Mandab, tra lo Yemen e Gibuti, la porta di accesso al canale di Suez tramite cui dall'Oriente arrivano in Europa petrolio e gas, oltre a tutto il resto del traffico commerciale.



Crediti immagine: Manifestazione odierna pro Palestina che si è tenuta in Giordania (Khalil Mazraawi per AFP)