Tra i vari primati che si possono assegnare al senatore Matteo Renzi, vi è anche quello di avere una incredibile faccia di bronzo,  di essere pertanto una persona impudente, che non si vergogna di nulla.

Non che in passato non abbia avuto modo di sottolineare anche questa sua caratteristica (ad esempio con il "jobs act" che secondo lui diminuiva il lavoro precario o gli "80 euro" definititi un provvedimento di giustizia sociale), ma in occasione dell'odierna commemorazione di Franco Marini, che si è tenuta al Senato, Renzi ha superato se stesso.

Visto che fu proprio lui, nel 2013, a negare a Marini il Quirinale, sarebbe stato opportuno che oggi lasciasse ad altri la commemorazione. Invece, Renzi ha voluto parlare, forse anche per mandare un messaggio all'Aula per ricordare di cosa lui sia capace per ottenere ciò che desidera, senza averne vergogna... tutt'altro.

Quella riportata di seguito è l'ultima parte del discorso di Renzi:

«... Da ultimo, signor Presidente, desidero affrontare il tema della relazione personale. Io ho combattuto Franco Marini quando, nel 2013, l'allora Partito Democratico lo inserì in una terna per il Quirinale e, poi, un'ampia coalizione lo candidò alla Presidenza della Repubblica. Allora ebbi con alcuni amici il desiderio di dire chiaramente perché la candidatura di Franco Marini non ci sembrava quella più corretta. Lo feci senza avere un ruolo parlamentare, perché allora ero sindaco, quindi non ero tra i grandi elettori, ma lo feci in modo molto chiaro, con una lettera a «la Repubblica», spiegando che chi aveva candidato in quel momento Franco Marini non gli aveva fatto del bene.La candidatura di Franco Marini, infatti, nacque allora come giustificata proprio dalla sua appartenenza cattolica, non dalla sua esperienza istituzionale, non dalla sua esperienza sindacale, non dalla sua vita politica, sociale e comunitaria. No. Si disse che, avendo eletto il presidente Grasso al Senato e la presidente Boldrini alla Camera, avendo indicato come Presidente del Consiglio incaricato l'onorevole Bersani, c'era bisogno di un riequilibrio dell'area cattolica, dopo sette anni di Giorgio Napolitano. Quell'approccio per me fu sbagliato, come pure fu sbagliato l'approccio di chi volle candidarlo in prima votazione. Infatti, quando si vuole difendere un candidato nelle elezioni al Quirinale, se non si è sicuri (e gli unici casi di sicurezza sono stati nel 1985 e nel 1999, con due fenomeni più unici che rari), lo si tiene coperto, come accadde nel 2006 a Giorgio Napolitano e nel 2015 a Sergio Mattarella. Chi lo candidò in prima votazione evidentemente aveva il desiderio di candidarlo senza troppa convinzione.A me però non interessa questo; mi interessa dire una cosa che mi riguarda. Signor Presidente, mi è capitato - e ringrazio il cielo e i miei amici, che hanno condiviso questi anni di attività politica - di essere in molti casi una persona che ha dovuto fare delle scelte e, in quanto tale, tante persone hanno avuto ruoli importanti grazie alle scelte, del tutto legittime - discutibili ma legittime - che abbiamo fatto. Presidente, non credo che lei si stupisca, ma le dirò che può accadere, in molti casi, che quando si fanno delle scelte e si selezionano delle persone, dai commissari ai Ministri, non tutti abbiano quel sentimento di gratitudine che sarebbe immaginabile; si dice che in politica la gratitudine non esista. Vorrei però evidenziare che Franco Marini mi ha dato una lezione straordinaria personale, perché è uno dei pochi che, non soltanto non ha ricevuto alcunché negli anni in cui ho avuto qualche ruolo sia il Governo che nel Partito, ma è stato anche capace in quel periodo di gratificarmi di una relazione personale e di un'amicizia che andavano totalmente oltre il fatto che io non avessi appoggiato la sua candidatura. Ero in imbarazzo io, ma quando lui scelse di lavorare insieme a me e a noi al Governo, come Presidente del Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, e al Partito, come capo dei garanti, la cosa più bella era incontrare il suo sguardo - avevamo discusso, avevamo litigato - e sentirsi chiamare "Presidente" o "segretario", a seconda del luogo nel quale stavamo ritrovando un uomo ricco di umanità. Mi piacerebbe che i giovani capissero questo elemento».


La tracotanza di Renzi è stata sottolineata, in chiusura, dall'intervento del ministro Dario Franceschini che non ha mancato di etichettare come merita, ricorrendo ad un'immagine non priva di studiata perfidia, una delle tante presunte medaglie di cui si è auto-fregiato Matteo Renzi:

«Era un uomo autentico, un uomo duro, capace anche di intimorire gli avversari nei dibattiti, nel confronto dialettico. Marini ruggiva, rispondeva a volte con un ruggito, ma interiormente era un uomo buono e di animo puro. Sarebbe stato un grande Presidente della Repubblica - nel dibattito sono stati ricordati quei giorni - se quel voto del 2013 fosse andato diversamente, e invece fu travolto dal vento ubriaco di un superficiale nuovismo. A me, che ero il più legato a lui, toccò, su richiesta del segretario del PD, andare dopo quella prima votazione nel suo ufficio a chiedergli di rinunciare a proseguire. Franco mi rispose con un ruggito, ma immediatamente capì il quadro politico e rinunciò a quella che sarebbe stata l'opportunità più importante della sua vita e sarebbe stata importante anche per il Paese, perché sarebbe stato un Presidente popolare come Pertini, un Pertini cattolico-democratico con la pipa, con il cappello da alpino, capace di parlare con il popolo, di stare con il popolo anche nel palazzo più importante della Repubblica».