La risposta militare dell'Iran a Israele, in seguito all'assassinio a Teheran di Ismail Haniyeh, ancora non è arrivata e c'è da credere che a questo punto difficilmente potrà arrivare.
Nella versione locale, l'agenzia di stampa Irna non parla più di Israele e di quanto accade a Gaza, mentre nella versione internazionale sottolinea la centralità dell'azione diplomatica dell'Iran in relazione alla questione palestinese, con il ministro degli Esteri ad interim, Ali Bagheri Kani, fotografato a Gedda insieme al vice ministro degli Esteri saudita, Waleed Abdulkarim El Khereiji, che si complimenta con il collega iraniano per aver promosso la riunione di ieri dell'Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC) in cui si è discusso dell'assassinio del leader di Hamas e dei crimini israeliani contro i palestinesi a Gaza.
Dopo aver spostato i propri missili nei giorni scorsi in quella che è stata definita un'esercitazione, l'Iran dà l'impressione di volersi accontentare di una vittoria diplomatica nei confronti di Israele, in modo da rafforzare la propria immagine e il proprio ruolo non tanto guardando all'occidente, quanto al mondo islamico. Fino a qualche tempo l'Iran vedeva l'Arabia Saudita solo come obiettivo per far schiantare i propri droni sugli impianti petroliferi di estrazione/produzione dell'Aramco, mentre da molti mesi i rapporti tra le due nazioni si sono più che normalizzati.
Evidentemente, a Teheran devono aver capito che l'azione diplomatica potrebbe pagare di più rispetto a quella militare. Ma un risultato tangibile Teheran deve pur ottenerlo.
Forse in quest'ottica va valutato l'invito formulato a Israele e Hamas da Egitto, Stati Uniti e Qatar per il 15 agosto a Doha o al Cairo per concordare i dettagli del quadro del cessate il fuoco a Gaza. Un accordo potrebbe essere spacciato da Teheran come vittoria e sarebbe pertanto inutile, a quel punto, mettersi a sparar missili.
L'accordo formulato dagli Stati Uniti è un processo a più fasi per arrivare ad una definitiva cessazione delle ostilità. Il problema è che finora Israele, o se si preferisce Netanayahu, hanno sempre trovato una scusa per continuare il massacro nella Striscia. Anche questa volta Tel Aviv invierà i propri rappresentanti, ma anche stavolta - c'è da scommettere - metterà sul tavolo un nuovo ostacolo per poter poi accusare Hamas di non volere un accordo… una pagliacciata che va avanti da mesi, grazie alla complicità (politica e mediatica) di Stati Uniti e Paesi europei.
Adesso, però, alla pagliacciata si è aggiunta la questione iraniana.
Se Teheran non dovesse trovare una vittoria diplomatica è possibile che non prenda in considerazione l'idea di effettuare un attacco contro Israele?