“La morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa”. È questo il lascito che Papa Francesco ha consegnato al mondo in un testo inedito, pubblicato all’indomani della sua morte: la prefazione al libro del cardinale Angelo Scola, Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia, edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Datata 7 febbraio 2025, appena pochi giorni prima del ricovero che avrebbe segnato l’ultimo tratto della sua vita, quella pagina oggi suona come un testamento spirituale, carico di fede e di speranza.
Francesco invita a guardare alla morte non come ad una fine, ma come a un nuovo inizio, un passaggio verso un’eternità che non è estranea all’esperienza umana, perché già ora – nella misura in cui sappiamo amare, accogliere e vivere con gratitudine ogni stagione della nostra esistenza – possiamo assaporarne un frammento. È un pensiero che consola e rassicura, perché ribadisce che la vita non si spegne, ma si trasforma, e che l’amore autentico, quello che nasce dal cuore e si nutre di gesti quotidiani, non conosce tramonto, ma accompagna ogni anima oltre i confini del tempo.
Le parole di Francesco restano però vive e luminose, come un’eredità spirituale consegnata al presente e al futuro della Chiesa e dell’umanità intera:
“La morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa.
È un nuovo inizio, come evidenzia saggiamente il titolo, perché la vita eterna, che chi ama già sperimenta sulla terra dentro le occupazioni di ogni giorno, è iniziare qualcosa che non finirà. Ed è proprio per questo motivo che è un inizio ‘nuovo’, perché vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’eternità”.
Francesco dice di aver “letto con emozione queste pagine uscite dal pensiero e dall’affetto di Angelo Scola, caro fratello nell’episcopato e persona che ha rivestito servizi delicati nella Chiesa, ad esempio nell’essere stato rettore della Pontificia Università Lateranense, in seguito patriarca di Venezia e arcivescovo di Milano”. “Già nella scelta della parola con cui si auto-definisce, ‘vecchio’, trovo una consonanza con l’autore”, scrive ancora del card. Scola, che tra l’altro fu il suo ‘rivale’ nel Conclave del 2013, quello della propria elezione a Papa.
“Sì, non dobbiamo aver paura della vecchiaia – prosegue nella prefazione Papa Francesco -, non dobbiamo temere di abbracciare il diventare vecchi, perché la vita è la vita ed edulcorare la realtà significa tradire la verità delle cose”. Secondo il Pontefice scomparso, “restituire fierezza a un termine troppo spesso considerato malsano è un gesto di cui esser grati al cardinale Scola”. “Perché dire ‘vecchio’ non vuol dire ‘da buttare’, come talvolta una degradata cultura dello scarto porta a pensare. Dire vecchio, invece, significa dire esperienza, saggezza, sapienza, discernimento, ponderatezza, ascolto, lentezza… Valori di cui abbiamo estremamente bisogno!”, aggiunge.
“È vero, si diventa vecchi, ma non è questo il problema – osserva Bergoglio -: il problema è come si diventa vecchi. Se si vive questo tempo della vita come una grazia, e non con risentimento; se si accoglie il tempo (anche lungo) in cui sperimentiamo forze ridotte, la fatica del corpo che aumenta, i riflessi non più uguali a quelli della nostra giovinezza, con un senso di gratitudine e di riconoscenza, ebbene, anche la vecchiaia diventa un’età della vita, come ci ha insegnato Romano Guardini, davvero feconda e che può irradiare del bene”.
Il Papa rileva come Scola evidenzi “il valore, umano e sociale, dei nonni. Più volte ho sottolineato come il ruolo dei nonni sia di fondamentale importanza per lo sviluppo equilibrato dei giovani, e in definitiva per una società più pacifica. Perché il loro esempio, la loro parola, la loro saggezza possono instillare nei più giovani uno sguardo lungo, la memoria del passato e l’ancoraggio a valori che perdurano”. “Dentro la frenesia delle nostre società, spesso votate all’effimero e al gusto malsano dell’apparire, la sapienza dei nonni diventa un faro che brilla, rischiara l’incertezza e dà la direzione ai nipoti che possono trarre dalla loro esperienza un ‘di più’ rispetto al proprio vivere quotidiano”, sottolinea.
Inoltre, le parole che l’autore “dedica al tema della sofferenza, che spesso si instaura nel diventare vecchi, e di conseguenza alla morte, sono gemme preziose di fede e di speranza”. E “proprio la conclusione di queste pagine di Angelo Scola, che sono una confessione a cuore aperto di come egli si stia preparando all’incontro finale con Gesù”. “Con queste pagine tra le mani – conclude Francesco – vorrei idealmente compiere di nuovo lo stesso gesto che feci appena indossato l’abito bianco da Papa, nella Cappella Sistina: abbracciare con grande stima e affetto il fratello Angelo, ora, entrambi più vecchi di quel giorno di marzo del 2013. Ma sempre accumunati dalla gratitudine verso questo Dio amoroso che ci offre vita e speranza in qualunque età del nostro vivere”.