La maggior parte dei video contro Di Maio, Sgarbi l'ha realizzata in bagno, luogo dove evidentemente si trova a suo agio e dove, soprattutto, cerca di dimostrare agli altri di essere anche un artista (sono molti i critici che avrebbero voluto esserlo). La sua “auto-installazione vivente”, cioè se stesso seduto in bagno nell’atto di defecare, infatti, non può non far pensare ad un maldestro tentativo di imitazione di alcuni artisti che hanno già trattato l’argomento, primo tra questi, Marchel Duchamp che nel 1917 presentò “Fontana”, un comune orinatoio come opera d’arte; concetto sviluppato da Piero Manzoni nel 1961 con la sua “Merda d’artista”; per arrivare infine agli attuali, Wim Delvoye che realizza nel 2000 “Cloaca” (un macchinario in grado di trasformare il cibo in feci) e Maurizio Cattelan che con “America” presenta il gabinetto d’artista. Il mood scatologico-creativo è identico in ognuno dei casi citati, dove, inutile dirlo, si respira sempre la stessa “aria”. Sgarbi con la sua “auto-installazione vivente” e “itinerante” (visto che usa bagni e luoghi diversi) probabilmente pensa di aver raggiunto un doppio risultato, quello cioè di “creare” e offendere contemporaneamente; una genialata a cui però i precedenti artisti non avevano pensato.

Sgarbi non riesce ad essere se stesso nemmeno nell’offendere. Tutto ciò che mediaticamente produce non è farina del suo sacco, dimostrando una totale mancanza di fantasia; un vero tormento per chi come lui si dimena con ogni mezzo per apparire agli occhi del mondo come un tipo originale.

Di foto e video indecenti Sgarbi su Facebook ne ha postati anche in passato, ma a differenza degli ultimi post che avevano come unico scopo quello di infamare Luigi Di Maio, nei precedenti si preoccupava di mettere in mostra il suo corpo “statuario” per soddisfare l’ego narcisistico che lo possiede, adducendo motivazioni pseudo-artistiche. E anche qui, ovviamente, penando di idee proprie ha usato quelle degli altri. Mi riferisco alle foto pubblicate da Sgarbi sul suo profilo personale, prima nell’aprile del 2016 e successivamente (reduce del successo avuto) nell’agosto del 2017. Nel primo caso il critico polemista ha postato una foto che lo rappresenta nudo sdraiato sul divano mentre parla al cellulare (ipotizzando forse un connubio tra arte estetica e tecnologia iPhone ), con in calce la citazione dannunziana “Immotus nec iners” (fermo ma non inerte) spacciandola per propria; nel secondo, invece, si è immortalato sul letto, anche qui come mamma sua l’ha fatto, coprendo le parti intime col “Diario degli errori” di Ennio Flaiano e con la scritta sotto la foto: “Consigli per la lettura, Facebook, censurami!” Consapevole del fatto che nessuno, nonostante la nudità, avrebbe osato censurare una siffatta immagine d’arte, vero capolavoro della contemporaneità. Naturalmente, se le cose fossero andate solo così (a parte l’ostentato narcisismo-esibizionismo) non ci sarebbe molto da dire. Ma anche qui, come in tante altre situazioni, Sgarbi dimostra di non avere inventiva, anzi di essere un vero e proprio copione. Infatti, i suoi “servizi” fotografici altro non sono che un misero tentativo di ripetere ciò che già è stato fatto dal suo collega amico-nemico, teorico della Transavanguardia, Achille Bonito Oliva, critico d’arte più noto e apprezzato di lui che, prima nel 1981 e successivamente negli anni 1989 e 2011, aveva provocatoriamente posato senza mutande per il mensile “Frigidaire”. Nell’ultima delle sue esibizioni narcisistiche (anche lui ne è affetto) Oliva si era fatto riprendere nudo, seduto con le gambe accavallate, sul divano di casa. Ad arricchire l’immagine una frase ad effetto: “La nudità di re e dittatori è oscena perché svela l'ipocrisia del potere, quella degli uomini non lo è affatto...”. Un’immagine del tutto simile a quella creata recentemente da Sgarbi e postata su Facebook, fatta eccezione per il contenuto della frase. C’è da dire, comunque, che Sgarbi, già nel 1993 aveva posato nudo per la copertina de “L’Espresso” ripetendo in modo analogo e inequivocabile quello che già due anni prima aveva fatto il suo collega Oliva, lanciando l’idea per la prima volta. Un’idea, quindi, quella di Sgarbi, non solo copiata, ma anche vecchia, trita e ritrita, e presentata come originale. Ancora una volta ci ritroviamo di fronte a uno Sgarbi privo di una sua identità creativa, un personaggio che per dire o fare qualcosa ha bisogno di imitare, copiare.

Sgarbi, quindi, oltre ad essere un calunniatore seriale è anche uno scopiazzatore recidivo, e non solo nelle sue teatrali manifestazioni narcisistiche e pseudo-artistiche, ma anche nella sua attività professionale di critico; più volte infatti è stato smascherato, accusato di plagio. Nulla di strano comunque, l’esperienza insegna che quando si è sleali non lo si è soltanto su una cosa ma su tutto. Non potendomi dilungare troppo sull’argomento mi limiterò a citare solo pochi casi, di cui uno all’epoca dei fatti si occupò “La Repubblica” con un lungo articolo a firma di Francesco Erbani e pubblicato il 2 dicembre del 2008. Il caso riguarda un saggio su Botticelli apparso su un volume edito dalla casa editrice Skira, firmato da Sgarbi e interamente copiato da uno dei fascicoli dal titolo “Maestri del colore” (Fabbri editore), scritto dalla storica dell’arte Mina Bacci nel lontano 1964. Il saggio (una decina di pagine circa) che risulta come presentazione del volume dedicato al grande artista quattrocentesco, s’intitola “L’estenuata eleganza di Sandro Botticelli” ed è identico in tutto, parole, punteggiatura e capoversi, un vero e proprio copia e incolla. Ed ecco la risposta di Sgarbi all’accusa di plagio: “Non ricordo bene le circostanze. Credo che trattandosi di un saggio divulgativo io abbia affidato l’incarico a qualche mio collaboratore, il quale forse ha attinto un po’ troppo a dei testi preesistenti, senza avere il buon senso di alterare quei materiali. D’altronde su Botticelli non è che io abbia una valutazione critica particolarmente originale”. Una spiegazione “soddisfacente”, in linea con il suo modo di fare e le sue attività. 

Vale la pena citare anche il caso sollevato da Fabrizio Federici, storico dell’arte, autore di importanti saggi e articoli scientifici sul Seicento, firma nota di “Artribune” (piattaforma di contenuti e servizi dedicata all’arte e alla cultura contemporanea), nonché amministratore della pagina Facebook “Mo(n)stre", riguardo a un articolo scritto Da Vittorio Sgarbi su Nicola Filotesio detto Cola dell'Amatrice e pubblicato sulla versione online de “Il Giornale”. Federici fa notare come alcune parti del testo siano in realtà brani tratti dalla voce “Filotesio Nicola” del “Dizionario Biografico degli Italiani” (Treccani), redatta da Roberto Cannatà nel 1997. L’osservazione fatta da Federici ha generato una discussione su Facebook a cui è intervenuto lo stesso Sgarbi il quale, tramite il suo addetto stampa, ha replicato che è legittimo riportare passi scritti d’altri autori senza citarne il nome e la fonte e senza usare la virgolettatura, nei casi in cui la finalità del testo sia quella di riportare dati oggettivi. Per essere più chiari quindi, secondo Sgarbi, un testo riportante dati reali, storici, incontrovertibili (ad esempio notizie cronologiche, biografiche ecc.), può essere copiato da chiunque e presentato come opera propria, considerato che nel caso specifico la funzione dello scritto è di tipo informativa, cioè costituito solo da “elementi esterni” e non da “idee originali”. Come se nel trattare e scrivere ad esempio una biografia, un passo di storia (fatti appunto di dati oggettivi), non occorresse un lavoro di ricerca, di stile, di sensibilità e di capacità espressiva in grado di contraddistinguere un autore da un altro. Ma il saggio su Botticelli e l’articolo su Cola dell’Amatrice non sono i soli a farci conoscere uno Sgarbi che con molta superficialità utilizza per i suoi articoli testi scritti da altri autori; ce ne sono infatti diversi che in passato non sono sfuggiti a qualche lettore particolarmente attento. Federico Giannini, giornalista d’arte, ad esempio, in un suo articolo apparso su “Finestre sull’Arte” il 9 settembre 2016, fa notare che alcuni articoli (tre in particolare) pubblicati da Sgarbi proprio in quell’anno su “Il Giornale”, comprendono parti estratti da testi scritti da altri autori. Il primo riguarda un articolo del 21 agosto dedicato alla figura di Francesco Furini, dove nell’elencazione di alcune vicende biografiche del pittore fiorentino, Sgarbi utilizza testi presi da “Settemuse.it” (sito specializzato in arte) e dalla voce “Furini Francesco” del “Dizionario Biografico degli Italiani”, redatta (come nel caso di Filotesio Nicola) da Roberto Cannatà, nel 1998. Il secondo è un articolo del 31 luglio su Mazzucchelli Pier Francesco detto il Morazzone, dove Sgarbi mette a confronto la “concezione estetica” del Morazzone con quella “spirituale” di santa Teresa d’Ávila. Qui, alcune parti dell’articolo di Sgarbi ricalcano con una certa fedeltà un pezzo di testo riguardante la santa riportato su Wikipedia e un pezzo di testo riguardante il Morazzone tratto dalla scheda del "Dizionario Biografico degli Italiani", dedicato all’artista lombardo e redatta nel 2008 da Alessandro Serafini. Il terzo, infine, riguarda un articolo pubblicato il 19 giugno, che tratta di Jacopo da Valenza e dell’influenza artistica esercitata su di lui da Antonello Da Messina. E’ proprio nella descrizione di alcuni passaggi importanti della carriera di quest’ultimo che Sgarbi copia una parte di testo tratta ancora una volta dalla scheda del “Dizionario Biografico degli Italiani”, su Antonello da Messina, redatta nel 1987 da Fiorella Sricchia Santoro. Nel suo articolo, inoltre, Federico Giannini mette a confronto i testi scritti da Sgarbi e quelli scritti dagli altri autori a dimostrazione della inconfutabile similitudine che li accomuna.

Adesso, arrivato alla fine di questo articolo, mi viene da pensare a tutti i libri scritti da Vittorio Sgarbi, testi per lo più storici, che riguardano opere, artisti, luoghi, eventi, personaggi, periodi dell’arte italiana, cioè costituiti in gran parte da dati oggettivi, ovvero da “elementi esterni” e non da “idee originali”… e una domanda sorge spontanea nella mia mente: quanto di tutto ciò che ha scritto è frutto del suo ingegno e quanto invece dell’ineffabile capra che alberga in lui?