Un tempo un uomo e una donna che si amavano, si fidanzavano e si sposavano. Dalla loro unione nascevano dei figli e quei bambini crescevano con un Padre e una Madre.
Un tempo si diceva: “Di mamma ce n’è una sola”.
E quel tempo non è poi così lontano. Era il tempo in cui la famiglia era fondata sull’unione tra un uomo e una donna, sull’amore che portava al matrimonio e poi alla nascita di figli. Bambini che crescevano con un padre e una madre, in un contesto che la nostra Costituzione – almeno fino a oggi – ha sempre riconosciuto e tutelato come fondamento della società.
Ma il progresso, la scienza, le nuove tecnologie e le diverse normative che valgono in alcuni Sati ed in altri no, stanno dando alla luce bambini che possono ritrovarsi con un Papà e una Mamma, con due Papà oppure con due Mamme.
Oggi, infatti, il modello della famiglia tradizionale viene messo in discussione, ma non da un dibattito parlamentare, non da una riforma legislativa condivisa, bensì da una sentenza. La n. 68 della Corte Costituzionale, depositata di recente, ha sancito una svolta epocale: la possibilità di riconoscere legalmente anche la “madre intenzionale” nelle coppie omosessuali femminili che hanno avuto accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) all’estero, aggirando così una norma che in Italia lo vieta esplicitamente.
Una decisione che appare come un intervento a gamba tesa del potere giudiziario sul potere legislativo, modificando di fatto l’impianto normativo senza passare dal Parlamento. In un colpo solo, viene sovvertito il principio secondo cui la maternità, nella nostra tradizione giuridica e culturale, è legata al parto, alla gestazione, ad un legame biologico e non solo intenzionale.
Il punto centrale non è soltanto l’estensione dei diritti civili, ma il metodo con cui si arriva a queste trasformazioni. Quando la legge vieta una pratica, come in questo caso la PMA per coppie dello stesso sesso, e la magistratura ne disattiva gli effetti dichiarando incostituzionale la norma che ne regola le conseguenze, ci troviamo di fronte ad un cambiamento profondo dell’ordine giuridico, attuato non per via legislativa, ma giudiziaria.
È lecito domandarsi dove stia andando un Paese in cui le regole fondamentali vengono riscritte non dal confronto democratico, ma da una pronuncia di pochi giudici.
Siamo davanti a una forma di supplenza giudiziaria che, sebbene motivata dalla tutela dei diritti, rischia di compromettere l’equilibrio tra poteri dello Stato. Il diritto si piega così alla spinta del tempo, alla pressione dell’opinione pubblica, alle correnti ideologiche del momento, piuttosto che alle volontà espresse dal corpo elettorale attraverso i suoi rappresentanti.
In tutto questo, il concetto di genitorialità rischia di essere trasformato in un contratto sociale, in una funzione volontaria più che naturale. In nome di una modernità spesso confusa con il progresso, si mette da parte ogni riferimento alla biologia, alla morale, alla complementarità dei ruoli materno e paterno, alla specificità della paternità e della maternità stessa. E con essa si affievolisce l’idea di limite, di ordine, di una legge naturale che precede – o almeno ispirare – ogni legge scritta.
Oggi è difficile scegliere se stare dalla parte della natura e della tradizione, o da quella dei diritti civili rivendicati sempre più fortemente dalla comunità LGBTQ+.
Eppure, serve coraggio anche per dire che non tutte le direzioni del cambiamento sono per forza giuste. Che i diritti vanno sì garantiti, ma nel rispetto delle leggi vigenti e non al di fuori di esse. Che la natura va rispettata. Che esiste una differenza tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è eticamente desiderabile.
Comunque sarà la storia – magistra vitae – a dirci dove sta andando questo mondo sempre più privo di punti di riferimento, governato dalla logica del profitto e del mercato, perseguiti ad ogni costo, anche quando il prezzo da pagare sono guerre che la gente non vuole, ma che vengono volute e alimentate dai cosiddetti poteri forti.
Il tempo – che è galantuomo – dirà se questo mondo senza più regole, dominato dalla logica del mercato e del profitto, sostenuto da poteri che decidono al posto dei popoli, avrà ancora uno spazio per la riflessione, per il confronto, per il rispetto delle istituzioni e della loro funzione. E se davvero la libertà di diventare genitori potrà prescindere completamente dalla natura, dalla legge e, forse, anche dal buon senso.
Insomma, ai posteri l’ardua sentenza.