La mia solidarietà sotto forma di lettera a Giovanni Falcone e alla sua Fondazione per il tentativo delle forze dell’ordine di limitare l’arrivo all'albero dedicato al suo ricordo del corteo di studenti e sindacati con incomprensibili attimi di tensione sicuramente non consoni alla memoria di quella strage.
Gentilissimo dottor Falcone, non ho fatto in tempo a conoscerla personalmente trentuno anni fa a Roma però grazie a lei ebbi la fortuna di entrare in contatto con Antonino Caponnetto e per questo le sarò eternamente grato.
Le scrivo per manifestare a lei e alla Fondazione dedicata alla sua memoria la mia massima vicinanza per i bruttissimi e sconcertanti episodi di alta tensione verificatisi a Palermo tra forze dell’ordine e i manifestanti, proprio nel giorno delle commemorazioni della strage di Capaci.
Era dai tempi del suo funerale, di Francesca Morvillo e degli agenti della sua scorta - e io ero presente - che non c’era uno scontro frontale tra il popolo di Palermo e gli agenti dell’ordine pubblico. Vittime delle aggressioni alcuni partecipanti al corteo alternativo, quello promosso dalla Cgil, da alcune associazioni antimafia e sigle studentesche.
Era una manifestazione organizzata per dire basta “alle passerelle e alle commemorazioni ipocrite dei martiri di questo Paese”. Una voce di dissenso, aggiungerei anche fondata, che in una democrazia dovrebbe essere sempre garantita.
Il corteo avrebbe dovuto sciogliersi a poche centinaia di metri dall'albero Falcone, che è in via Notarbartolo, proprio sotto la casa da lei abitata prima che fosse assassinato in quel nefasto 23 maggio del 1992.
Le voglio far giungere tutta la mia vicinanza, perché il suo nome non può essere mai divisivo per i giovani, deve sempre unirli anche nell'eventuale dissenso. Davanti a quell'albero deve poter arrivare chiunque. Quell'albero appartiene a tutte le persone oneste. Sicuramente sarebbe stata anche la sua volontà.
Sono solidale anche con suo cognato Alfredo Morvillo: “Falcone e Borsellino non possono essere celebrati da chi convive con i collusi”. Perché, come ci ha insegnato Paolo Borsellino: “la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Con immutato affetto, Vincenzo Musacchio.