Scienza e Tecnologia

IL PARADOSSO DEL CUBO ed altre incoerenze: l’incognita del sesto lato

Il  cubo si è spesso prestato a rappresentare esempi di paradosso, ovvero qualcosa che apparentemente non può essere, in questo caso è l’immagine dell’oggetto che può aiutarci a capire quanto anche solo figurandoci qualcosa il limite del pensiero sia un ostacolo pesantissimo alla nostra obiettività di analisi, un limite che non viene quasi mai considerato ma che esiste ed è causa di gravissimi danni, si può a questo proposito, marginalmente ricordare un altro apparente grande paradosso, quello dell’intelligenza: constatato che essa è una capacità di elaborazione e sviluppo appartenente solo all’essere umano, almeno sulla terra, perché tale proprietà conduce quasi sempre chi la possiede a conseguenze che non possono essere definite intelligenti ma addirittura dannose proprio per questa specie? Al di là dei tanti tentativi di risolvere il paradosso, si è trovato un accordo tacito che lo ha risolto, almeno apparentemente, associando all’intelligenza il libero arbitrio, ma ciò sembra solo un compromesso giustificativo per non avere trovato spiegazioni plausibili, al di là dell’esistenza del bene e del male, alla cattiveria, accidia, perfidia, volgarità ecc… Forse la soluzione è alla fonte, ovvero non esiste il paradosso perché non sussiste il riferimento ad esso (intelligenza). O se esistesse apparterrebbe con molta probabilità a molte più specie viventi, che oltretutto non mostrano segni di tutti gli aggettivi sopra citati.  Ma ciò va dimostrato e quindi  proviamo a farlo, ovviamente con un esempio paradossale.

Il paradosso del cubo è rappresentato dal sesto lato dello stesso, questa parte dell’archetipo di immagine lo vede equilibrato se rappresentato con tutti i suoi lati, senza una di esse non esisterebbe, o forse si.  Infatti il solido geometrico, se identificato nell’immaginario, esiste benissimo anche con due soli lati, al massimo sforzo identificativo, pensandolo chiudendo gli occhi, non riusciamo a vederne più che tre, sicuramente il sesto lato rimane al di fuori di ogni ipotesi, eppure esiste, o no?  Immaginandolo, non è possibile non dubitare, la certezza di immaginare un cubo non c’è, anzi, il cubo intero non è proprio immaginabile, la figura vista nella nostra mente potrebbe essere un poligono o un solido irregolare. Se non lo trasformiamo in oggetto tangibile non possiamo essere sicuri che si tratti di oggetto con sei lati quadrati di uguale area. E qui inizia un’altra apparente incoerenza che riguarda un concetto, quello del vero e di ciò che è verità.

E’ una analisi che si svincola dal sé e dai presupposti dell’essere, nessuno di questi escluso: può rientrare in essi solo marginalmente ed è concessa a chi può determinare il proprio agire ed è a conoscenza degli ambiti dell’agire stesso, e già siamo al paradosso precedentemente citato: l’ esistenza del concetto di autodeterminazione dell’essere; è possibile svincolare tale concetto da ciò che lo ha formato? Ma soprattutto, siamo coscienti di come esso si forma e cresce? Siamo sempre consapevoli della sua costante presenza e di quanto questo influenzi tutti i comportamenti?  Basterebbe che lo fosse non sempre, ma almeno ogni tanto e ciò non è. La soluzione però esiste e parte da una presa di coscienza che permetta di svincolarsi dalla conoscenza “formale”, ovvero di quella  conoscenza che il sovraccarico di stereotipi ha reso sterile, per avvicinarsi il più possibile alle indicazioni che ci vengono dagli archetipi essenziali. E ciò non è paradossale ma bensì naturale, anche se può avvenire solo tramite percorsi di analisi che appartengono alla sfera della ricerca estetica di scrematura del superfluo, allora non sarà più necessario immaginare il cubo intero, una sola delle sue facce sarà sufficiente. Va precisato che essere in grado di confutare il concetto usuale di intelligenza non dimostra l’utilità della stessa e tantomeno la sua esistenza.

Il cubo è solo un esempio, un pretesto per rappresentare uno dei tanti paradossi sui quali sussiste l’esistenza della quotidianità dell’essere ed in questo caso rappresenta cinque realà identificabili con cinque sensorialità dell’essere (non solo umano).

Vista, udito, gusto, tatto e olfatto rappresentano, nel paradosso, cinque lati del cubo, nel sesto lato potrebbero esserci tutti insieme ma anche uno solo;  per noi umani il tatto, per un cane, un gatto o tanti altri animali l’olfatto, per altri l’udito, non servono il gusto e la vista. Una più nitida percezione della forma si ottiene senza l’ausilio del senso visivo, e già entriamo nel vivo dell’apparente irrazionale: la percezione non visiva richiede uno sforzo maggiore, specialmente se si rende indispensabile, ed è molto più incisiva nella memoria, lascia solo essenze di ciò da cui è generata, in altri termini lascia solo ciò che è essenziale alla sua finalità: ovvero lo sviluppo di una capacità elaborativa sintetica e veloce. Se paragoniamo l’arte barocca  all’essenzialità dello Spazialismo di Lucio Fontana (i tagli),  capiamo bene quale sia il peso della comunicazione visiva dei due esempi contrapposti, di uno, nell’immaginario figurato abbiamo ricordi sfocati di ornati, dell’altro la leggerezza estrema dell’assenza di peso ed un vivido ricordo.

L’esempio dimostrativo continua con l’esperimento del bosco di notte:  dovendone percorrere un tratto, nel buio totale della notte, avvalendoci solo dei nostri sensi residui, tra erba, fronde, foglie, terra, rumori di vento e animali, riusciamo a raggiungere la fine del percorso!  Dovendo successivamente descrivere tale evento vissuto, se non avessimo nessuna conoscenza della realtà del bosco, lo raffigureremmo nella sua più totale essenza, ricorderemmo solo ciò che realmente ci è stato utile ricordare, anche nell’eventualità di dover ripetere l’esperienza. L’immagine ricavata non varierebbe di molto anche se avessimo avuto a disposizione solo il senso del tatto, magari ripetendo il percorso ancora e con più attenzione riusciremmo a descrivere le forme, i fili d’erba, le foglie ecc.. Ma in modo sintetico, naturalmente essenziale.  Di giorno, in piena luce e con tutti gli organi funzionanti, saremmo costretti, dovendo raffigurare il contesto, ad elencare milioni di dati di immagine, creeremmo il contrapposto del citato “Barocco e Spazialismo”. Gli animali sono più abili nelle esperienze di questo tipo, nel mettere a frutto meccanismi di elaborazione finalizzate al miglioramento della loro vita e lo fanno in crescita, ovvero aggiungendo le conseguenze di ciò che assimilano al loro bagaglio, ma questo viene definito istinto, perché non hanno intelligenza. L’uomo, invece, ha maggiori difficoltà, e le ha “paradossalmente” proprio perché è intelligente. Ma questo non è forse una contraddizione? Ancora no, perché l’uomo ha sviluppato anche la tecnologia, ma siccome anch’essa è frutto dell’intelligenza, raramente risulta davvero produttiva in modo positivo;  si potrebbe meglio descriverla come produttiva economicamente, ma non di una economia disponibile per tutti, anzi, il contrario. Allora a quale conclusione volgere: alcuni uomini sono intelligenti e sviluppano tecnologia ma lo fanno per il loro unico tornaconto e quindi sono anche cattivi?  Non appartengono forse alla stessa specie? L’intelligenza, non è un contraddittorio della perfidia e della cattiveria? O accettiamo il paradosso, o accettiamo l’idea che non appartengano alla stessa specie, non c’è via di uscita.

Nel cubo abbiamo occupato cinque lati con cinque sensi, due non servono, infatti vediamo, nell’immaginare il cubo, solo al massimo tre facce, una di esse è la più importante, quella che rappresenta il tatto, ma lo è solo per noi umani. Constatato che non siamo predominanti per intelligenza e abilità tecnologica (almeno volendo avere l’umiltà di farlo), dobbiamo lasciare spazio anche alle altre facoltà sensoriali più importanti: olfatto e udito. La soluzione è a questo punto obbligata ed il paradosso risolto: il sesto lato rappresenta il sesto senso, che altro non è che l’intelligenza suprema, l’equilibrio delle cose e dei comportamenti, un organo che impedisce di creare dannI in conseguenza di essi, più concepibile come animale che umano, il paradosso è essere costretti, per obiettività, ad attribuire l’intelligenza utile, non solo presente, ma anche più sviluppata in specie viventi animali. Un concetto di ammissione del limite, della non superiorità, nemmeno parziale. In definitiva non si tratta di un paradosso ma di una ammissione, ma dato che anche il revisionismo obiettivo non è umano, non resta altro termine di definizione.

Autore Gabriele Catozzi
Categoria Scienza e Tecnologia
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