Sono trascorsi molti secoli dalla teoria medioevale del "giusto prezzo", che era il massimo prezzo cui poteva essere venduta una merce, spesso non in base ai contenuti di materie prime, lavorazione e qualità finale, bensì alla disponibilità finanziaria del compratore.
Dunque, accadde che nei territori dell’Impero , cessato il flusso verso Roma, si ridussero a livelli minimi i traffici privati , che però crebbero in modo esponenziale nelle zone dell’Europa settentrionale, meno influenzate dalla mentalità romana.
Il "giusto prezzo" cambiò con l'avvento della Riforma, in particolare calvinista, per cui soltanto le economie nella spesa e l'accantonamento dei ricavi, con il fine di investire, e il lavoro accurato e assiduo sono creatori di ricchezza. Da questo, l'idea che nessun ostacolo, giuridico o altro, deve opporsi al libero spiegamento di "un'infaticabile attività personale, essendo la coscienza morale illuminata dalla Ragione la sola guida del Mercato."
Fu così che il 'giusto prezzo' fu 'razionalizzato' e divenne il punto di equilibrio tra costo della produzione e del lavoro, fiscalità, manutenzione, utili e investimenti. Del resto, il 'giusto prezzo' dei romani aveva causato lo sfruttamento intensivo del Sudamerica, cioè un'inflazione iperbolica e il crollo del valore dell'argento dove affluivano le risorse, cioè in Spagna ed in Europa.
Ma, il 'giusto prezzo' dei Calvinisti funzionava a livello di scambi locali e già con la colonizzazione delle Americhe mostrò i suoi limiti, quando l'usura che attrasse capitali enormi e l'esportazione monopolistica di cotone, the e tabacco generarono arricchimenti fuori da ogni misura.
Si trattava di uno squilibrio 'temporale', nel senso che i "grossisti" potevano prevedere (e determinare) anche con un anno di anticipo i prezzi al dettaglio e la valorizzazione degli immobili. Non solo, per la ratio della domanda e dell'offerta (legge di mercato), avveniva che nella produzione era necessaria la massima economia tanto quanto divenivano importanti non i ricavi, ma gli utili derivanti dagli investimenti.
Questo squilibrio venne accentuato prima dalla modernizzazione dei trasporti (macchina a vapore) e della produzione (macchinari, industrie) e poi dall'urbanizzazione (concentrazione dei consumi) e dall'elettrificazione (illuminazione e comunicazione di massa).
Ma questa è la storia del Capitalismo e dei Socialismi, di due secoli vessati dall'odio e dalle guerre.
Con l'Era Digitale, l'immediatezza dei contatti ha inciso su quello squilibrio 'temporale', esasperando la ratio domanda/offerta (economie/ricavo): tutto è divenuto "istantaneo".
E qui arriviamo agli "extra profitti" e quale sia il 'giusto prezzo'.
Da un lato, se sono "extra" c'è poco da dire, agli extra compartecipano anche i risparmiatori, perché hanno 'tenuto' durante anni di crisi e dovrebbe pur esserci una 'restituzione' verso chi aveva mutui o interessi. Come deve pur esservi una quota di questi "extra" che va re-investita nella Comunità.
Dall'altro lato, se gli 'extra' derivano dal 'giusto prezzo' di quel momento, con i rischi finanziari di quei giorni, le cose cambiano, ma ancor più sarebbero meritevoli i risparmiatori e i debitori che hanno sostenuto quel rischio insieme alla Banca. E, comunque, ci sarebbe da re-investire nella Comunità e per questo ci sono tante Fondazioni bancarie.
In ambedue i casi, non si tratta di redistribuire, ma di re-investire in strutture, formazione, ammodernamento eccetera.
In altre parole, se gli 'extra' saranno re-investiti nella Comunità, il Governo avrebbe solo da trovare il 'giusto prezzo calvinista' con le Banche.
Se si vuole fare cassa (per 'redistribuire' gli 'extra'), tanto vale parlare di 'giusto prezzo romano' e... di Patrimoniale.