Come ci illustrò Alberto Sordi nel suo "one man film" Il Marchese del Grillo, il passato imperiale di Roma è un ricordo davvero remoto, cui attaccarsi con prudenza. Un conto è utilizzarlo per attrarre turisti - attività in crisi come un po' ovunque nella nazione - altro è comportarsi come se duemila anni non fossero trascorsi.
Accenniamo preliminarmente alla composizione "etnica", a prescindere dagli afflussi post bellici. Il milieu non è affatto scontato, poiché in alcune epoche calarono parecchi abitanti dal settentrione a lavorarvi e ne nacque una mistura con i già stanziati, di ceppo centrale.
Il duce e i suoi supporter, pur se l'avventura era stata pensata e avviata al nord, puntarono subito su Roma, città già un po' esausta dopo pochi decenni di ruolo, rivestito in precedenza da Torino e Firenze.
Le adunate, la nuova urbanistica, la corte mussoliniana, l'inaugurazione di Cinecittà, le feste glam, nulla fu risparmiato per farla risalire nelle quotazioni internazionali. Quando essa divenne pure capitale di un impero, il gioco sembrava fatto e il nome doveva ambire, nelle intenzioni, a gareggiare con Londra e Parigi.
Nelle pellicole di quegli anni, soprattutto quelle dei "telefoni bianchi", ci scorre davanti un ambiente di simpatica graziosità: signorine civettuole, maschi galanti anche se un po' impudenti, carrozzelle a cavallo, picnic nei parchi con vista, qualche popolano. Aleggiano tranquillità, bonomia, arguzia, intelligenza spesa senza ostentazione: il ritratto di una popolazione saggia, ma mordace se stuzzicata.
Un minimo di cosmopolitismo era assicurato dalla nutrita comunità ebraica e dalle frequentazioni di cittadini di paesi amici, ancora pochi, da cui importavamo anche divi come il trio Lescano (ungaro - olandesi), oltre che dalle visite ufficiali, come quella dei Peròn, da cui si sperava di trarre vantaggio. Era la sede della monarchia Savoia. E poi, c'era sempre il Vaticano: dopo il riabbraccio del 1929, l'illustre enclave era divenuta sede diplomatica e di studi ecclesiastici per sacerdoti dell'orbe.
La guerra portò macerie e tragedie, anche se la resistenza assunse sembianze più intellettuali e meno avventurose di quelle sulle montagne nordiche. Confermata capitale della neonata repubblica, Roma doveva ricostruirsi un 'immagine. Compito riuscito? Forse a metà.
Sul fronte popolare, traiamo fruttuosi quadretti dai "Racconti romani" di Alberto Moravia e dalla trionfante commedia all'italiana che imperversava al cinema, ma pure tenebrose realtà dal neorealismo o da Pasolini.
Il popolino veniva ritratto impietosamente: simpatici cialtroncelli, sciantose sederone, matrone decadute, pischelli scansafatiche, poveri ma belli e ladri di biciclette, tutto a ruotare intorno ai due principali datori di lavoro in ascesa: la suddetta chiesa e il corpus politico amministrativo; o periferie degradate, preda di speculatori e palazzinari, ove si aggiravano ragazzi di vita brutti sporchi e cattivi. Su tutto, una dolce vita di decadenza inarrestabile, la nobiltà nera, il generone debosciato. Ma a noi piaceva sempre.
Purtroppo il degrado ha sortito effetti gravi, e Roma divenne presto luogo insicuro e molesto. I suoi storici "pappagalli" si trasformarono in maschi un po' aggressivi; la violenza prese piede, anche se i poliziotteschi degli anni settanta sono così caricaturali da far prendere sottogamba il pericolo. Scontri politici e il terrorismo resero la città eterna plumbea e poco solare, senza contare la terribile banda della Magliana.
Era estinta la grande produzione cinematografica e così quella televisiva, che ci aveva regalato i sabati sera al Delle Vittorie; tutto si spostava altrove o si esternalizzava. Mamma Rai è diventata come l'Alitalia: non crea professionalità, compra format. Cinecittà fa piangere, se si pensa a quando ci venivano a girare da Hollywood.
Ci ritroviamo una metropoli sempre ingolfata e problematica per gli spostamenti, con strade dissestate, movimento aeroportuale da secondo mondo e alto costo della vita.
A questo punto, per noi che l'abbiamo amata, restano due alternative, almeno nella nostra fervida immaginazione:
una Roma che torni all'antico, che "nun" faccia la stupida stasera? Improbabile;
una Roma del tutto diversa, con sindaco Francesco Totti, assessore alla cultura Enrico Brignano, e papa della rinnovata chiesa cattolica separata Carlo Verdone. Fantastichiamo, sì. Che altro dovremmo fare?