La COP28 di Dubai rappresenta un crocevia tra un ordine mondiale obsoleto per i paesi BRICS e un nuovo modello che non emerge a causa dell’insorgere di altri conflitti. Nonostante il cambiamento climatico sembri essere messo in secondo piano rispetto all’agenda attuale, è l’energia a dominare la scena: il conflitto in Ucraina ha interrotto il forte legame dell’Europa con i gasdotti di Mosca, mentre la guerra in Medio Oriente ha rimescolato le carte delle rotte energetiche, della sicurezza e degli investimenti industriali per i prossimi tre decenni.

Stiamo assistendo a un processo che ha avuto inizio anni fa. Gli accordi di Abramo, promossi dall’amministrazione Trump e confermati dalla presidenza di Joe Biden, hanno innescato un cambiamento radicale nelle relazioni tra Israele e i paesi arabi. L’attacco di Hamas ha temporaneamente interrotto questo processo (l’Arabia Saudita stava per firmare, ma ha cambiato idea), tuttavia, ciò che conta sono i fenomeni a lungo termine, quindi la partita è ancora aperta. La strage di Hamas e la risposta di Israele non sono una guerra di Gaza come le altre, tutti gli analisti concordano sul fatto che si tratti di un punto di svolta.

Il dibattito sul clima si inserisce in un contesto storico di rapido e profondo cambiamento. Negli ultimi tre anni, i libri di storia hanno già registrato due shock globali: la pandemia e la scoperta della vulnerabilità (e delle illusioni) dell’umanità; due grandi guerre in Europa e in Medio Oriente che si combattono all’interno del sistema di pipelines che alimentano il motore delle democrazie occidentali. Il cambiamento climatico non è una variabile indipendente da tutto ciò, non può essere escluso da qualsiasi considerazione sulle priorità, l’agenda e lo scenario.

La transizione verso energie più pulite richiede un impegno globale e un sistema di relazioni internazionali funzionante, cosa che al momento non sta avvenendo. Basta guardare il calendario per capirlo: mentre scrivo il mio articolo per WE, la guerra in Ucraina è in corso da oltre 600 giorni, quella in Medio Oriente ha superato i 40 giorni. È necessario un realismo che continua a mancare a molti. Trovare soluzioni alla sfida climatica con due guerre in corso richiederà uno sforzo straordinario, flessibilità e intelligenza. “Per fare progressi significativi, dobbiamo distinguere i fatti dalla finzione, la realtà dalla fantasia, la sostenibilità dall’ideologia, evitando di cadere nella trappola delle divisioni e della distruzione”,

ha avvertito il sultano Ahmed al-Jaber, presidente della COP28 e CEO della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), la compagnia petrolifera di stato, nonché numero uno di Masdar, una società di energie rinnovabili di cui la National Oil Company detiene il 24%. Il Medio Oriente “ha le risorse, la leadership e l’esperienza per creare un futuro positivo dal punto di vista del clima, con nuove industrie, nuove tecnologie, nuovi affari, nuovi posti di lavoro e soprattutto nuove speranze”.

Per cercare un cambiamento, è fondamentale che al tavolo siedano sia le nazioni del Golfo (che possiedono circa il 65% delle riserve petrolifere dell’intero pianeta con una produzione che copre il 30% del totale mondiale) sia l’industria del petrolio e del gas. Considerare l’Oil&Gas come parte fondamentale della soluzione potrebbe rivelarsi la scelta giusta della Conferenza di Dubai.

Nelle economie avanzate dell’Occidente c’è un problema politico che riguarda l’“impianto ideologico” della transizione verde, ma il tempo è un galantuomo e le soluzioni teoriche non resistono all’impatto della realtà.


fonte AGI