Dopo le presidenziali del 2016 le agenzie di intelligence statunitensi hanno confermato che Mosca è intervenuta per condizionare il corso delle elezioni, violando gli account email dello staff di Hillary Clinton e diffondendo i contenuti dei messaggi per screditare, di fronte all'opinione pubblica americana, la candidata dei democratici e favorire così il suo avversario, Donald Trump.

Per sapere se Trump fosse o meno a conoscenza di tale operazione e se vi abbia partecipato attivamente, è stata promossa un'inchiesta portata avanti dall'FBI con a capo il Consigliere speciale Robert Mueller.


Dopo 22 mesi di indagini, Mueller ha terminato il proprio lavoro, consegnandolo, venerdì, nelle mani del nuovo ministro della Giustizia, William Barr, entrato in carica a febbraio e nominato da Trump dopo che lo scorso novembre aveva licenziato il suo predecessore, Jeff Sessions.

A Barr, quindi, il compito di informare Congresso e opinione pubblica sul risultato del lavoro di Mueller, di cui però può decidere di divulgare solo le conclusioni principali, in base al regolamento del Dipartimento di Giustizia.

Naturalmente, la presidente della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, e il senatore democratico Chuck Schumer - i due principali esponenti dei democratici al Congresso - hanno detto che è essenziale che la relazione sia resa pubblica in ogni sua parte, intimando a Barr di non consegnarne a Trump o al suo staff le conclusioni in anteprima e aggiungendo che alla Casa Bianca non sia data la possibilità di intervenire per decidere che cosa rendere o non rendere pubblico dei contenuti dell'inchiesta.


Durante la sua indagine, Mueller ha messo sotto accusa 34 persone e tre società. Le accuse hanno portato a pene detentive per alcune persone che in passato avevano collaborato a stretto contatto con Trump. Tra questi, l'ex responsabile della campagna per le presidenziali, Paul Manafort, il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn ed, infine, l'avvocato Michael Cohen.

Nessuna delle accuse che hanno portato a quelle condanne, tuttavia, era direttamente collegata al filone principale dell'inchiesta: la collusione tra Trump e il Cremlino.


Così il leader dei repubblicani alla Camera, Steve Scalise, ha detto di essere certo che la relazione di Mueller non proverebbe alcuna collusione con la Russia.

"Il fatto che non ci saranno nuove incriminazioni - ha dichiarato Scalise - conferma quello che abbiamo sempre saputo: non c'è mai stata alcuna collusione con la Russia. L'unica collusione è stata tra democratici e molti dei media che hanno diffuso questa menzogna, perché continuano a rifiutare di accettare i risultati delle elezioni del 2016".


Ma se anche così fosse, per Trump i guai giudiziari probabilmente proseguiranno comunque. Infatti, il suo ex avvocato Cohen, quando lo scorso agosto si è dichiarato colpevole di aver violato le norme che regolano i finanziamenti ai candidati nel corso di una elezione, ha detto di aver agito per favorire Trump e che il presidente ne era a conoscenza.