Le vite degli altri. Il totalitarismo come “male radicale”
“Tutto ciò che ha un inizio ha una fine”. Questa affermazione buddista coglie un aspetto materiale dell’esistenza umana: pone il punto ad un’esperienza, ad una vita, ad un periodo storico, ad eventi collettivi importanti sia positivi che negativi (per nostra fortuna).
I regimi totalitari sono imposti e manovrati occultamente dal potere economico, godono della complicità delle istituzioni contaminate da personaggi ricattabili e/o servi fedeli del sistema.
Il totalitarismo è sempre finanziato dalla potente imprenditoria che determina anche le scelte politiche del paese assoggettato a tale regime; la collettività “sottoposta” viene resa passiva attraverso l’emanazione di leggi immorali; varie pratiche occulte di violenza per incutere paura, insicurezza e sciogliere il patto di solidarietà nelle fasce di cittadini che si dissociano dal “pensiero unico”; pratiche manifeste di violenza contro i dissidenti al fine di isolarli ed eliminarli; campagne di informazione fuorvianti; imposizione di stereotipi per determinare comportamenti indotti soprattutto nelle giovani generazioni attraverso l’uso delle droghe, dell’alcool, del bullismo, dell’esibizionismo fine a se stesso questo ed altro al fine di indebolire il tessuto sociale e renderlo sempre più docile alle esigenze ingiuste dei vertici di potere. Stiamo assistendo al degrado prodotto dalla tecnologia nei cambiamenti sociali con la perdita di connessione umana e sociale che sta contribuendo all’alienazione, all’isolamento individuale e all’incapacità di comunicare direttamente e personalmente con l’altro.
Si sta imponendo una conformità acritica e mancanza di dibattito determinati dall’assenza di pensiero critico, che può facilitare la diffusione dell'ideologia totalitaria.
Fondamentale importanza riveste la difesa dei diritti umani, dell'uguaglianza e della giustizia come contro-misure contro il regime totalitario.
Il processo di spersonalizzazione dell’individuo umano sta avvelenando lentamente le società democratiche per indurle a condividere l’obiettivo primario del regime totalitario: la sistematica e graduale destrutturazione dell’individualità degli esseri umani riducendoli a dei numeri insignificanti destinati ad ubbidire ciecamente o a divenire vittime designate allo sterminio.
Infatti: “L’uomo che si era così perfettamente inserito negli ingranaggi della macchina nazista dello sterminio era l’uomo massa, un uomo senza qualità né coscienza morale che era adattabile ad ogni evenienza, capace di uccidere come di portare a spasso il cane. Per questo il nazismo ha rappresentato l’apparizione del male assoluto nella storia: ci ha dimostrato che in certe circostanze l'uomo è un nulla, un agente passivo, è in grado di compiere qualsiasi atto in quanto nessun valore o principio aprioristico è in grado di indirizzare il suo comportamento.”
A questo proposito la Arendt introduce l’idea del "male radicale", cioè del male fine a sé stesso, che non serve a nulla e non segue nessuna logica.
Il totalitarismo considera gli individui come “granelli di sabbia indistinguibili ed isolati gli uni dagli altri. La violenza è gratuita: è il terrore per il terrore.”
La Arendt sosteneva che era in atto una trasformazione nella natura umana, un fenomeno che prima non s’era mai visto. A mio avviso tale cambiamento era in atto da secoli ma solo nel 1900, in seguito alle terribili vicende collegate ai regimi nazista e fascista l’uomo ha iniziato a percepire con il pensiero cosciente che l’origine del male e del bene risiede nella sua interiorità.
Tale problematica si riallaccia a due fondamentali della vita di pensiero e della morale: l’autoconoscenza e la libertà.
La fede non è legata ad un dogma ma alla conoscenza: attraverso il pensiero l’uomo arriva alla conoscenza, la conoscenza è la via per comprendere la verità; la verità apre le porte al perdono; l’autentico perdonare porta alla libertà di amare o odiare (libero arbitrio).
Quando si parla di verità si parla di piena coscienza del sé perché in noi vi sono tutte le domande inespresse per nostra momentanea incapacità naturale di percepirle e allo stesso tempo tutte le risposte.
In noi risiedono i misteri dell’universo, durante questo cammino terreno, attraverso un sano pensare verranno eliminati i veli che coprono la nostra reale natura e inizieremo a prendere coscienza di tutto ciò che appartiene ad ogni essere umano, potremo incontrare e confrontarci senza timore con il bene e il male: sta a noi scegliere chi essere e da che parte stare.
Quanto detto solleva il grave problema della responsabilità personale molto dibattuto nel nostro Parlamento e nelle aule dei nostri tribunali.
Solo confrontandoci coscientemente con noi stessi si manifesterà la nostra reale natura e ci renderemo conto che abbiamo il potere di agire su noi stessi durante tutto il tempo che ci viene concesso di operare in questa dimensione materiale.
Ne “La banalità del male” riferendosi ad Eichmann scrive: “(..) il male non è più qualcosa di eccezionale ma fa parte di noi e delle persone che ci sono vicine.”
Siamo nel 1963 e la Arendt solleva una potente critica alla società moderna che ha privilegiato l’economico all’individualità. Afferma che all’interno del regime totalitario gli individui provano un totale isolamento nella sfera politica e un forte senso di estraniamento nei rapporti sociali.
“Si annienta, infatti, in primis la vita politica democratica, la comunicazione libera tra cittadini. Subentra unicamente la paura e il sospetto reciproco, che portano alla distruzione dei legami affettivi e della vita privata. Ogni uomo si sente solo e circondato da potenziali nemici.”
Ma l’isolamento della società di massa, aggiunge infine la Arendt, è “un costante pericolo” anche dopo la scomparsa del nazismo e dello stalinismo che potrà, anche in futuro, minacciare la libertà politica degli individui.