I piani vacanzieri familiari 2022, messi a punto con scrupoloso anticipo, erano stati messi a serio rischio prima dalla mia positività al Covid e poi frettolosamente rimescolati per motivi logistici spazio-temporali che non sto qui a descrivervi (se volete leggete sul mio Blog "PoliticamenteScorretto" la trilogia di articoli "LE MIE PRIGIONI 1-2-3“): una vacanza che invece alla fine mi ha inaspettatamente regalato impreviste suggestioni…
Dopo una partenza un po’ sfiduciata, un lungo viaggio pieno di insidie e un Google Maps che mi indica strade statali in luogo di più veloci e comode autostrade, la curiosità per il nuovo itinerario si fa sempre più intensa e, dopo esserci sistemati nell’accogliente appartamento di Matera che ci farà da “capolinea” in questa avventura ancora da scrivere, e aver preso confidenza con l’ambiente circostante, stiliamo le tappe del nostro tour, cercando di conciliarle con le previsioni meteorologiche.
La mattina seguente, ancora un po’ stanchi e frastornati dai 600 chilometri del giorno prima, ci dirigiamo sostanzialmente verso l’ignoto, desiderosi di visitare luoghi naturali e monumenti storici a ragionevole distanza dal punto di partenza; con questo scopo ci addentriamo, attraverso strade rigorosamente provinciali, in una campagna prima lucana e poi subito pugliese che, dopo un iniziale senso di disorientamento per la perdita quasi assoluta di punti di riferimento, con crescente sorpresa ci restituisce un paesaggio discordante da quello a cui sono abituati i nostri occhi: una fotografia panoramica di sconfinate distese dai colori tenui e dalle sfumature impalpabili, variazioni di quota appena accennate su colline che sembrano fare da cornice a campi coltivati o comunque arati, disposti ordinatamente a caso e armonicamente incastonati tra loro; una quasi totale assenza di vegetazione interrotta soltanto da qualche ulivo o quercia secolare sapientemente disseminati con la probabile funzione di rinverdire la visuale; i pochi ruderi agricoli sparsi, la cui destinazione d’uso è, o almeno era, quella di riparare contadini, pastori e animali da intemperie e calura, sono collocati a macchia di leopardo, quasi a coprire abilmente tutta la superficie, e la presenza discreta di soli bassi muretti di pietra a dividere coltivazioni e proprietà appare opportuna al mantenimento di un ordine prestabilito e ristabilito più da Dio che dall’uomo, di cui non vi è traccia evidente. Inoltrarmi sospettoso e diffidente nel Parco Nazionale della Murgia mi ha ricompensato con un appagamento estetico naturalistico e paesaggistico quanto meno unico, dove equilibrio, armonia e simmetria si fondono regalando momenti di beatitudine visiva e interiore.
Ma il turista che si ferma è perduto, e quindi solo brevi soste fanno da intermezzo, tra scenari naturali e resti storici ed archeologici, e poco a poco mi rendo conto che la sobrietà della campagna e il bianco candore dei paesi in essa intrappolati lasciano il posto al caos irregolare dell’urbe moderna. Qui, tra testimonianze rupestri, musei e Chiese, mi imbatto nella “controra”, tipica del Sud: non è un semplice intervallo tra mattina e pomeriggio, ma una vera e propria sospensione di tempo e spazio che interrompe ogni attività, che riduce al minimo azioni e pensieri e che sostituisce attività e rumori con ozio e quiete; l’operosità tipica del turista incontra la lentezza della controra e ne assorbe la regolare cadenza, nell’attesa del suo epilogo; ma la controra non ha inizio né fine certi, né nessuno sa dire quali siano i parametri a dettarne ritmi ed eventuali limiti; perché la controra è un tempo sacro fuori dal tempo, che non ha regole e non va profanato, in cui uomo e natura si esibiscono in un assolo di inerte immobilità; a cantare fuori dal coro del silenzio soltanto le cicale…
Dopo aver sperimentato di persona la controra, secolare condensato di vizi e/o virtù del Sud, faccio esperienza della storia dimenticata di questi luoghi, attraverso la fierezza culturale con la quale le guide si assumono l’onere e l’onore di rivalutare una civiltà figlia di una storia “minore”, sostanzialmente priva di episodi rilevanti, ma comunque fatta di dominazioni che nelle varie epoche l’hanno arricchita culturalmente, in una sovrabbondanza di stili architettonici sovrapposti ed influenze di vario genere, dai romani ai greci, fino agli arabi: non solo castelli e Chiese, ma anche e soprattutto un esempio di società multiculturale che si è stratificata nel tempo.
L’ultima tappa in ordine cronologico, e forse anche la più attesa, almeno alla partenza, è la visita ai recentemente famosi“sassi” di Matera, quelli che sono valsi alla città lucana il titolo di Capitale europea della cultura 2019.
In realtà sono quartieri formati da abitazioni rupestri scavate nella roccia fin dalla preistoria, dove l’uomo primitivo si riparava e viveva, la cui antichità trasmette sicuramente un fascino arcaico e ancestrale; l’altra faccia della medaglia è che purtroppo rappresentano anche e soprattutto la storia di un arretramento universale e di degrado civile e culturale della popolazione che le ha occupate fino agli anni cinquanta; luoghi e persone dimenticate da Dio e innanzitutto da quell’ITALlA che era stata unita a pochi chilometri di distanza: una preistoria che si è fatta vita quotidiana per interi nuclei di uomini, donne, bambini, vecchi e animali, nella cui promiscuità igienica si sviluppavano infezioni e malattie mortali per un bambino su due, dove la vita, grigia e provvisoria, quasi temporanea, era costantemente accompagnata dalla morte.
Tra i troppi B&B, botteghe più o meno artigianali, locali, ristoranti e bar, negozi di souvenir…, dalla guida si percepisce distintamente quel filo che unisce ancora oggi i giovani più ai bisnonni che a nonni e genitori, nel verosimile tentativo di riabilitarne la dignità, trasformando la “vergogna” in “orgoglio” e rendendolo modello di riscatto, anche economico.
Forse, dopo la promozione turistica affidata a fiction, gastronomia, pizzica e taranta, Banfi e Zalone, la chiave identitaria potrebbe essere, non solo per Basilicata e Puglia, la leva per un turismo più consapevole.
In chiusura definirei questi cinque giorni la vacanza che non ti aspetti; suggerisco, a chi ne ha la possibilità, di visitare queste terre, consci di trovare paesaggi, storia a cultura da non preferire ad altri scenari del nostro Bel Paese, ma sicuramente unici.
Paolo Scafati