Il Venezuela raccontato da Minà (intervista del 23/4/2017 di Giulietto Chiesa su PandoraTV) è la tipica distorsione della realtà. Del resto siamo già abituati ad ascoltare, tramite i pasdaran dell'informazione di regime di casa nostra, una visione faziosa e manipolata dei fatti.
Al di là di come uno la pensi e, al di là di qualunque collocazione politica, la rivoluzione bolivariana è stata costruita senza che Chavez, nè tantomeno Maduro, fossero all'altezza per guidare la trasformazione dello stato sociale del Paese.
Quando il tessuto lavorativo viene gestito da organizzazioni sindacali, organizzazioni paragonabili a bande malavitose, il cui fine è il potere e l'interesse economico. Fine da raggiungere con la prevaricazione e la violenza. Quando i lavoratori hanno solo diritti e nessun dovere, nemmeno quello di lavorare.
Un Paese dove la criminalità ha raggiunto livelli inimmaginabili per noi europei, tanto che ci sono più morti per omicidio in Venezuela che nella guerra in Siria.
Un Paese che per vent'anni ha fatto terra bruciata intorno alla classe media, sopratutto quella dotata di know how, quella che gestiva con le proprie capacità tecniche il funzionamento della società. Infatti per mancanza di capacità tecniche, il Venezuela non riesce a produrre quantità sufficienti di petrolio.
Un Paese dove il denaro dello stato è stato sperperato in opere pubbliche inutili, o, è finito nelle tasche del gruppo al potere.
Questi sono solo alcuni fattori sufficienti per giustificare il tracollo di un paese ricco come il Venezuela, ma naturalmente ce ne sono altri. Come quello dovuto alla caduta del prezzo del petrolio o al mercato nero.
Certamente a concorrere al disfacimento economico e sociale della Repubblica Bolivariana sono state, in parte, le multinazionali e le ingerenze esterne di paesi nemici come gli USA. Ma le colpe maggiori vanno ricercate nella classe politica che ha diretto il Venezuela negli ultimi vent'anni.