Il 29 aprile 2019, durante la commemorazione dell’omicidio di Sergio Ramelli, un gruppo di militanti ha reso omaggio al giovane militante del Fronte della Gioventù, assassinato nel 1975 da esponenti dell’ultrasinistra. Il rito della “chiamata del Presente” e il saluto romano hanno dato il via ad un procedimento giudiziario che ha coinvolto ventiquattro persone, accusate di manifestazione fascista.
Tuttavia, la recente assoluzione di tutti gli imputati da parte del Tribunale di Milano conferma che la magistratura, se fosse stata politicizzata, avrebbe colto l’occasione per emettere una condanna esemplare. Così non è stato.
La decisione del giudice Mariolina Panasiti dimostra che il diritto prevale sulle distorsioni ideologiche. Parlare ancora di fascismo nel XXI secolo, come se vi fosse un reale rischio di restaurazione, appare ormai anacronistico. La sentenza riconosce che il rito commemorativo in questione non aveva alcuna finalità eversiva, ma costituiva solo un momento di memoria per un giovane ucciso in un clima di odio politico.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la loro pronuncia del 2023, hanno sancito un principio chiaro: il reato di manifestazione fascista esiste solo se c’è un reale pericolo di ricostituzione del partito. La magistratura, nel caso in esame, ha correttamente applicato questo principio, evitando di piegare la legge a vecchie logiche politiche.
Il giudice Panasiti ha rilevato come il saluto romano sia stato compiuto in una forma rituale consolidata, priva di nuovi elementi di rischio. Se davvero l’Italia fosse in pericolo per un ritorno del fascismo, non sarebbe certo per un gesto ripetuto da decenni in una commemorazione. Quello che si manifesta in queste occasioni non è un pericolo per la democrazia, ma la “nostalgia canaglia” di un’epoca passata, destinata a rimanere sul piano simbolico e privato.
L’omicidio di Ramelli resta una ferita nella memoria nazionale, e il suo ricordo non può essere sminuito da polemiche ormai fuori dal tempo. In un’epoca in cui le sfide sociali e politiche sono ben altre, continuare a vedere il fascismo dietro ogni simbolo o gesto equivale a distogliere l’attenzione dalle reali esigenze del Paese. La politica, tutta, dovrebbe smettere di concentrarsi su vecchie contrapposizioni ideologiche e focalizzarsi su problemi concreti e reali dei cittadini, come il lavoro, la sicurezza, la sanità e il benessere sociale.
Questa sentenza chiude definitivamente la porta a processi ideologici e apre la strada ad una riflessione più matura sulla memoria storica e sulla libertà di espressione. Se il fascismo è un capitolo chiuso della storia, lo è anche l’ossessione per esso.
Il diritto ha prevalso sull’ideologia, e questa è la vera vittoria della democrazia.
La vera sfida della politica non è guardare al passato, ma trovare soluzioni efficaci per il futuro del Paese.