Per capire il Partito Democratico e lo stato di prigionia in cui il renzismo lo ha costretto è utile riportare come esempio la polemica che si è innescata all'interno tra coloro che sono favorevoli al decreto dignità annunciato da Di Maio e coloro che invece sono contrari, già solo perché è un provvedimento targato 5 Stelle.

Per Franceschini, un appoggio del Pd al decreto dignità sarebbe un primo passo per recuperare il rapporto con i 5 Stelle e toglierlo dall'influenza "negativa" della Lega, nelle cui braccia lo stesso Pd ha contribuito a spingerlo.

"Dopo la sconfitta alle elezioni - ha detto Franceschini - in politica esiste il contenimento del danno. Noi dovevamo fare di tutto per non consegnare il Paese a Salvini. Dovevamo farlo, per l’Italia, per l’Europa e per gli equilibri internazionali. Non proclamare che c’erano due vincitori, che quindi dovevano lavorare insieme. E questa è stata la linea del Pd in quei giorni.

Salvini e i M5s non sono la stessa cosa e non lo sono i loro elettorati. Per questo – ha proseguito Franceschini – non dovremo chiudere completamente all’elettorato del M5S, tra i quali c'è molta gente fino a poco tempo fa votava per il Pd. Noi abbiamo il dovere di tenere aperto il dialogo con quell’elettorato."

Sulla stessa posizione si è schierato anche Graziano Delrio. Ed i Renziani, come hanno reagito? Apriti cielo è forse l'espressione che meglio racchiude la loro risposta.


Per avere un esempio, ecco ciò che ha scritto in proposito il presidente del Pd Matteo Orfini, che da dalemiano e bersaniano è poi diventato renziano.

"Io veramente a volte non riesco a capirci. Il decreto dignità è un pasticcio, che farà danni: farà crescere il lavoro nero e lascerà per strada molti che oggi hanno un regolare contratto a tempo determinato.

Un partito di opposizione di fronte a un provvedimento del genere [decreto dignità] si organizza e cerca di rappresentare proprio quei lavoratori che subiranno un danno serio da questo provvedimento.

Invece da noi inizia un dibattito assurdo: dobbiamo sostenerlo perché così facciamo sponda a Di Maio contro Salvini e riusciremo a convincerlo a governare con noi. O peggio, siccome modifica il jobs act è giusto a prescindere perché se lo votiamo diamo un segnale di discontinuità rispetto a quanto fatto prima. E così interloquiamo meglio con Bersani e D'alema.

Una posizione è dettata dal tentativo di fare una manovra di palazzo. L'altra dall'ennesimo gioco ad alimentare lo scontro interno in chiave congressuale.

Io credo che se abbiamo perso è anche perché abbiamo ragionato troppo così in passato. Vogliamo tornare ad essere una grande forza di sinistra riformista? Se un provvedimento è sbagliato, danneggia i lavoratori e favorisce i furbi a quel provvedimento ci si oppone.

Se un governo fa politiche di destra a quel governo ci si oppone. Partiamo da qui, sarebbe già un buon inizio."


Ma il problema che Orfini e il suo capo politico fanno finta di non vedere o di non capire è che le politiche "riformiste" di Renzi prima e Gentiloni dopo di sinistra non avevano nulla. Anzi, a partire proprio dal Jobs Act, le riforme di Renzi strizzavano l'occhio a tutti, meno all'elettorato che dalla sinistra avrebbe dovuto essere appoggiato.

E adesso che dice Orfini? Difende il lavoro a tempo determinato, perché unico argine al lavoro nero. Ma se Orfini crede realmente in ciò che ha detto, vuol dire che lui ed il suo capo, Renzi, sono convinti che l'80% di lavoro a tempo determinato sia una manna per il Paese e che da parte loro una legge per eliminare questo cancro non sarà mai promossa.

E secondo Orfini questo vorrebbe dire essere di sinistra? È cosciente, Orfini, di ciò che ha scritto? Sembrerebbe di no e quel che è più grave è che con lui è d'accordo una parte del Pd.