La FED ha parlato chiaro
Ieri sera, in occasione della riunione del 27 luglio, Jerome Powell ha alzato i tassi d’interesse di 75 punti base, portandoli ad un intervallo compreso tra 2,25%-2,50%. I mercati l’hanno presa bene, forse troppo bene. Tuttavia credo che ciò che abbia rassicurato il mercato, già a mio avviso tranquillo in vista della riunione di ieri, sia stata la conferenza tenuta da Powell alle 20.30 italiane, dove ha dato indicazioni piuttosto precise in termini di forward guidance.
Powell ha detto cose davvero interessanti, affermando fra tutto che: anche se un altro aumento insolitamente grande potrebbe essere appropriato alla nostra prossima riunione, questa decisione dipenderà dai dati. Questo ha portato il mercato ad avere un punto (o più punti) su cui ragionare: i dati. Non che già non lo stesse facendo, ma accanto a questa dichiarazione Powell ne ha fatta un’altra. Ha chiarito che il livello dei tassi attuale del 2,5% è lo spartiacque tra una politica monetaria “ufficialmente” restrittiva ed una più accomodante, definendolo livello neutro. In questo modo, guardando l’andamento dei dati macro, il mercato può ragionare usando come dato neutro il 2,5% dei tassi d’interesse e quanto la FED sarà aggressiva od accomodante nel prossimo futuro dipenderà solo dalle letture dei dati macro.
Una cosa è certa: l’inflazione è là, al 9,1% e Powell procederà ad alzare i tassi oltre il 2,5%, considerato il livello neutro. Se questa non scende in tempi brevi, il periodo di tenuta dei tassi d’interesse oltre il livello neutro appena raggiunto dovrà essere inevitabilmente più lungo, affinché la politica monetaria resti coerente con quanto esposto nella riunione di ieri. Ricordo che Powell durante la riunione di giugno affermò che la FED avrebbe perseguito il suo obiettivo di controllo dell’inflazione anche a costo di una recessione. Un altro tassello si aggiunge al puzzle, sappiamo anche a quali dati dare maggior peso.