Locati, ItalExit: Serve una legislazione sanitaria nazionale meno frastagliata
L’art. 6 della legge istitutiva del SSN (833/1978) attribuì e continua ad attribuire allo Stato “le funzioni amministrative concernenti (…) gli interventi contro le epidemie”. L’art. 11 della stessa legge dispose che “le regioni esercitano le funzioni legislative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato ed esercitano le funzioni amministrative proprie o loro delegate”. In questo ambito esse possono concordare con gli organi della sanità militare competenti “l’uso delle strutture ospedaliere militari in favore delle popolazioni civili nei casi di calamità, epidemie”.
Il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, all’articolo 112, comma 3, lettera g), lasciava invariato il riparto delle competenze tra Stato e regioni in materia di sorveglianza e di controllo delle epidemie ed epizoozie di dimensioni nazionali o internazionali. L’articolo 115, comma 1, lettera a), della stessa legge prevedeva che dovessero essere conservati allo Stato, tra l’altro i compiti e le funzioni amministrative concernenti l’adozione dei piani di settore aventi rilievo ed applicazioni nazionali, mentre il successivo articolo 117 prevedeva che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, mentre negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza spettasse allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali”.
Il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, all’articolo 50, comma 5, demanda al Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, l’adozione, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, di ordinanze contingibili e urgenti. Al di fuori delle previsioni contenute nel decreto legislativo n. 267/ 2000, quindi, l’adozione dei provvedimenti d’urgenza per fronteggiare l’emergenza di pandemie, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.
La legge n. 833/1978 delinea la struttura del nuovo SSN, così come derivata dalla riforma, in: Stato, Regioni, Aziende Sanitarie Locali (ASL), e Aziende Ospedaliere (AO), o con altra denominazione secondo l’organizzazione regionale. Le varie attuali ATS (vecchie ASL), costituite da distretti sanitari, presidi ospedalieri e alcuni dipartimenti, tra cui il dipartimento di prevenzione e nel territorio di competenza, sono chiamate a svolgere globalmente i compiti di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e medicina legale, provvedendo a servizi come l’erogazione e l’organizzazione dell’assistenza medica generica e specialistica, dell’assistenza pediatrica, dell’igiene mentale e degli alimenti.
L’articolo 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1990, n. 300, attribuisce, invece, al Ministero della salute le funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana, di coordinamento del sistema sanitario nazionale, nell’ambito e con finalità di salvaguardia e di gestione integrata dei servizi socio-sanitari e della tutela dei diritti alla dignità della persona umana e alla salute, di sanità veterinaria, di tutela della salute nei luoghi di lavoro, di igiene e di sicurezza degli alimenti.
La riforma del Titolo V della Costituzione- dovuto alla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001-ha affidato la tutela della salute alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, estendendo al più ampio obiettivo della tutela diretta del diritto sancito dall’art. 32 Cost. l’ambito della competenza legislativa regionale, prima limitata all’assistenza sanitaria e ospedaliera, e così delineando un sistema caratterizzato da un pluralismo di centri di potere per cui il ruolo e le competenze attribuite alle autonomie locali sono state decisamente ampliate. La riforma ha esplicitamente delegato alle regioni l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari. Alle regioni spetta, in particolare, il compito di organizzare ed erogare l’assistenza sanitaria attraverso piani sanitari regionali (PSR) predisposti tenendo conto delle indicazioni del piano sanitario nazionale (PSN).
Con la l. 24 febbraio 1992, n. 225, si delegava alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una funzione apicale di coordinamento, mentre in seno a questo organo veniva istituito il Dipartimento della Protezione civile; tra gli eventi che la nuova istituzione era prospetticamente chiamata a fronteggiare venivano individuate le “calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”.
Mentre, con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, la protezione civile era assoggettata alla responsabilità legislativa concorrente di Stato e regioni, e, dopo che la legge Bassanini aveva esplicitamente delegato alle regioni e agli altri enti locali le funzioni amministrative inerenti alla protezione civile, era assoggettata alla responsabilità legislativa concorrente di Stato e regioni, il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con d.m. 13 febbraio 2001 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 81 del 6 aprile 2001) emanò un provvedimento quadro, recante “Adozione dei criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi”, dettando le linee guida per l’allestimento dei piani di emergenza destinati a gestire le catastrofi in relazione ad eventi calamitosi naturali o connessi con le attività dell’uomo: “il presente documento del Dipartimento della Protezione Civile, per i sistemi sanitari regionali, deve quindi essere inteso come indicazione da cui estrapolare e ritagliare modelli organizzativi territoriali che, utilizzando le particolarità organizzative del contesto di riferimento, raggiungono gli obiettivi prefissati dal documento stesso e ne applicano i principi”.
Veniva quindi precisato, nell’ambito di un testo ricco di dettagli nel descrivere le misure e gli accorgimenti da prevedere per organizzare i soccorsi sanitari destinati a fronteggiare le catastrofi, che “nell’ambito delle funzioni conferite alle Regioni in materia di protezione civile (d.l. n. 112/1998, art. 108) la Regione provvede alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, anche dal punto di vista sanitario, sulla base degli indirizzi nazionali, tenuto conto anche delle indicazioni contenute nel presente documento”. Nonostante il carattere preparatorio e programmatico del decreto in parola, in esso le epidemie trovavano menzione fra gli eventi attesi, in quanto “ipotesi di rischio associabili ai rischi principali”. Pochi mesi dopo l’emanazione di questo importante atto da parte del Dipartimento della protezione civile, l’avvento della minaccia pandemica posta dall’influenza aviaria a cavallo del millennio mosse l’Organizzazione Mondiale della Sanità a raccomandare a tutti i Paesi di mettere a punto un Piano pandemico e di aggiornarlo costantemente seguendo linee guida concordate.
Il primo “Piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale”, strutturato sul modello prescritto dal decreto del 2001 della Protezione civile in una formulazione necessariamente multilivello, fece la sua comparsa nella G.U. del 26 marzo 2002, n. 72. Esso recava con estremo dettaglio previsioni che facevano riferimento all’allora recentemente occorsa pandemia aviaria, per declinare però i dati ricavati da quell’esperienza e anche da situazioni pandemiche occorse in tempi più risalenti in una proiezione futura, aperta a considerare - come del resto recitava l’intitolazione di taglio generale del provvedimento – il rischio legato all’apparire di una futura e indistinta pandemia influenzale.
Conclusioni:
1. serve una legislazione sanitaria nazionale che superi tutto questo frastagliamento legislativo e imponga una centralizzazione delle funzioni e delle competenze al ministero della Salute al verificarsi del primo alert di rischio epidemiologico;
2. Regioni e Ministero della Salute in modo concorrente ed inequivocabile avevano facoltà e potere di intervenire immediatamente nella bergamasca il 24 febbraio 2020 per tutelare e salvare la vita di migliaia di persone e non lo hanno fatto. Per sciatteria ed incompetenza? Potrebbe essere, anche se Miozzo disse il 05 settembre 2020 che era per mere ragioni economiche. Ma, per inciso, la legge chi la emana? Proprio quelle istituzioni colpevoli di sciatteria
Adesso chiedo: perché a questo non si dà voce?