Vedrai Vedrai... Luigi - I parte
QUANTO SEGUE E’ FRUTTO DI RICERCHE, LE RIFLETTE E LE RIASSUME. I DATI SONO DESUNTI, MA NON LI SOTTOSCRIVIAMO. IL TESTO INTENDE OCCUPARSI DELLE VERSIONI CONTRASTANTI CHE CHIUNQUE SIA PASSATO DA QUESTA STORIA HA DATO, CONFONDENDO LE IDEE AI RICERCATORI INDIPENDENTI COME CHI SCRIVE.
“Essere ubriachi è un buon travestimento. Io bevo. Così posso parlare con le teste di c…o, me incluso” - Jim Morrison -
Chissà se qualcuno di voi ha letto “Conspiracy” di Anthony Summers, riedito con il titolo “The Robert Kennedy assassination. New Revelations…”.
Non si creda che Summers, che spesso citammo in quanto autore della più valida biografia di Marilyn, sia un complottista, anzi: riguardo a lei ha escluso ogni retroscena del genere, se non per rivelare alcuni aspetti sconosciuti ai più, che meglio inquadravano, a suo parere, lo scenario del suicidio.
Ciò premettiamo poiché essere definiti complottisti è più facile che bere un bicchier d’acqua; ma il termine è stato coniato, originariamente, per coloro che cercavano dettagli oscurati o censurati, appunto, senza che per questo si dovesse ipotizzare la congiura.
Il nostro libro, più volte citato, “Complottista io?” (Carmen Gueye, Eidon Edizioni) racconta di quante storie di trame segrete ci sono state ammannite, come minimo dalle Idi di Marzo in poi, ma noi abbiamo resistito stoicamente alla tentazione, ci siamo tenuti le versioni ufficiali e Lady Diana, l’abbiamo lasciata sostanzialmente riposare in pace. Non ci ha smosso più di tanto nemmeno la visione di “Beautiful mind”, angosciante pellicola del 2001 con Russel Crowe, diretto da Ron Howard (il Richie di “Happy days”), capolavoro dello stile plot.
Questo significa forse che va tutto bene e bisogna smettere di porsi dubbi? Noi crediamo di no e vi spieghiamo il perché.
Se fossimo tra coloro che vedono mene e intrighi ovunque, penseremmo, a titolo di esempio, che i fenomeni terroristici o mafiosi che hanno interessato il nostro paese siano frutto di “menti raffinatissime”, come ebbe a dichiarare Giovanni Falcone; che Enrico Mattei morì, nel 1962, perché il suo aereo era stato sabotato dalle multinazionali del petrolio; che Roberto Calvi è stato “suicidato” per un torto fatto ai poteri forti, e, soprattutto, che l’aereo precipitato a Ustica il 27 giugno 1980 sia stato abbattuto durante duelli nei cieli per far fuori un leader maghrebino, e non semplicemente in quanto si trattava di una carretta dell’aria devastata dal cedimento strutturale.
Fatte queste premesse, ci lanciamo temerariamente sulla storia di Luigi Tenco che sembra vetusta, e lo è in senso strettamente cronologico: ma, poiché il caso è stato riaperto e richiuso due volte, l’ultima nel 2015, forse merita qualche riflessione, come paradigma di molti comportamenti, per esempio lo sciacallaggio mediatico.
Diciamo subito, per farci un po’ di nemici, che non accordiamo a chiunque il diritto di occuparsi di tutto, dal punto di vista criminologico. Un conto è porsi da osservatore, altro è uscirsene a trent’anni o poco più, con la pretesa di rivisitare un mistero sulla base dell’esame di vecchie carte che, date per manomesse in malafede, non diventano necessariamente buone per dimostrare il contrario della verità ufficiale: ci siamo intesi?
Ci spiegheremo meglio col dipanarsi del racconto. Per intanto, un volo panoramico sulla percezione dell’arte di Melpomene, tratta dal nostro libro “Columbus II” – Carmen Gueye – Eidon Edizioni.
“La musica è una trovata della notte dei tempi ma, per arrivare all'attualità italiana, ci limiteremo a ricordare alcune tappe e qualche protagonista. A scuola ci insegnavano che l'Italia aveva avuto un ruolo determinante nel trovare i codici di composizione, parlandoci del medievale Guido d'Arezzo, inventore delle note. Magari altrove le trattavano già da un pezzo ma, poiché le comunicazioni erano difficili, la storia insegnata ci racconta questo, almeno se si vuole parlare di musiche polifoniche e non di uno o due accordi ripetuti all'infinito. Nemmeno ha mai destato un grande interesse l'emissione di suoni basati sul puro ritmo, in stile afro, finché in occidente non si è riusciti a fagocitarlo ficcandolo nel rock, nel blues etc.
Dunque, a parte i ricordi di Magna Grecia, con semidei e lire, travasati nell'antica Roma (sottofondi che si ascoltano nei film peplum o mitologici che vogliono ricreare l'atmosfera), si arriva appunto al medio evo, ai trovatori e ai menestrelli, per reperire un collegamento a noi, sia pur labile.
Il sentimento, si sa, è sempre stato determinante nel forgiare il cuore degli italiani. Di chi la colpa? Gli italiani non erano solo un mucchio di tribù, qualcuna autoctona, altre arrivate da fuori, trovando in giro solo vitelli (da cui viene fatto derivare, in genere, il nome dato poi al paese)?Questa impostazione musicale è stata forse responsabilità della civiltà villanoviana, dei soliti romani, o della dolcezza che, nel paese del sole e del mare ammansiva, in un certo senso, perfino mongoli, visigoti e burgundi? O qualche grande vecchio di una major discografica esisteva già allora, per orientare i gusti e lavare i cervelli?
Fatto sta che, più o meno come i cugini francesi, sviluppammo un'arte musicale soffice, con testi amorosi e accompagnamento di una sorta di lire evolute non ancora chitarre, ma sulla via per diventarlo. Questa è stata la base, a parte differenze di zona. Sappiamo che nel sud ha preso piede l'organetto, con l'accompagnamento di un tamburello, asserviti a tarantelle vagamente moresche, mentre nel nord prevaleva la fisarmonica, adatta ad incoraggiare il ballo liscio.
Infatti anche l'esigenza tersicorea fece la sua parte. In un territorio agricolo, diviso tra popolo oppresso e corti asserragliate nei manieri, un'esigenza accomunava: distrarsi al suono di qualche madrigale che faceva sognare le damigelle, o di un più scatenato motivo che scaricasse la stanchezza o addirittura guarisse qualche malanno .
Man mano che si andava sviluppando la tecnica, entravano in scena nuovi strumenti come il violino e il pianoforte; parallelamente si evidenziava l'apprezzamento per il dramma, poi divenuto melodramma, operetta o opera buffa, che naturalmente doveva trovare il suo sbocco naturale nell'opera.