Far rivivere un’opera rimasta quasi muta per 225 anni, senza operare su di essa nessun taglio e nessuna variante per adattarla al gusto contemporaneo meno avvezzo all'opera e alle sue inevitabile lentezze narrative: questa è la sfida raccolta da Simone Perugini, uno dei più importanti direttori contemporanei del repertorio cimarosiano, che ha registrato questo lavoro con la splendida Fête Galante Baroque Orchestre e con una compagnia di canto accuratamente pensata.
Nella prefazione all’esecuzione presente nel libretto, Perugini punta il dito in modo garbatamente polemico sulla “necessità di restituire Cimarosa al suo ruolo di autore tra il rococò e il classico, compositore teatrale di grande ispirazione e talento drammaturgico, cercando, musicalmente, di renderne i contrasti ritmico/dinamici impliciti nella partitura e che rappresentano il proprio tratto distintivo”.
Tali contrasti sono talmente spinti nelle esecuzioni del direttore, da farci pensare che la teatralità spesso latente nelle opere possa essere partorita proprio da queste esacerbazioni che, pur essendo talvolta entusiasmanti, potrebbero però talvolta fuorviare l’ascoltatore dall'orecchio conservatore. La prova di come possa essere intesa un’esecuzione cimarosiana permeata da tali intenzioni, è appunto in questa registrazione curata da Simone Perugini che, alla testa della splendida orchestra franco/inglese ormai splendidamente rodata da anni di pratica nel repertorio antico, in cui è stato creato uno stile autonomo che esula dai canoni ormai più diffusi che vedono appunto nell'appiattimento dei contrasti un tratto distintivo che, ci sembra, sia diventato un po’ un coperchio per tutte le pentole.
L’opera, pur non famosa come altre sue consorelle (ma sappiamo ormai che il repertorio cimarosiano è un’impresa in divenire), è molto bella, a volte gravata dal solito peso dei recitativi secchi, anche se concepiti, da Palomba – il librettista – e Cimarosa, almeno per le parti buffe, nello splendido dialetto napoletano e, come al solito, interpretati in modo ammirevole per cercare di dare loro un significato teatrale che vada al di là del mero raccordo fra un brano musicale e l'altro.
Continuiamo a pensare, come nel caso di altre recenti registrazioni di opere del teatro cimarosiano, ma anche dei suoi contemporanei italiani, che di tanto in tanto una sforbiciata possa snellire un’azione che corre il rischio di impinguarsi, ma è chiaro che un’edizione discografica debba proporsi di essere la più esauriente possibile; è tuttavia innegabile che ogni tanto la tentazione di saltare questi momenti sia decisamente forte.
“Le astuzie femminili” videro la luce al Teatro dei Fiorentini di Napoli il 26 Agosto 1794 e fu il frutto di una collaborazione piuttosto tempestosa fra Cimarosa e l’impresario del teatro fiorentino Gennaro Blanchi.
Il libretto fu interamente firmato da Giuseppe Palomba: presenza importante nelle opere cimarosiane, nondimeno poco gradito al compositore che, per di più, si vede costretto a mettere in musica un lavoro che aveva scritto, sempre per lui, Giovanni Bertati, “Amor rende sagace” che debuttò a Vienna due anni prima, ma che ebbe uno scarso successo e che Palomba, in effetti, si limitò ad allungare e, solo in piccola parte, a riversificare.
Il musicista Non poté scegliere gli interpreti di suo gusto, ma in cambio ebbe a disposizione il meglio che il comitato organizzativo poteva permettersi; fra essi, il vertice era rappresentato dal basso buffo Carlo Casaccia che, secondo alcuni critici dell’epoca, era il miglior talento comico del regno. L’eletta schiera di artisti di ottimo livello capeggiati da questa star si trovò ad affrontare una partitura che era un traguardo importante della maturità cimarosiana coll’essere la sintesi fra gli impulsi di cambiamento che aveva portato dai tempi di “L'Olimpiade” sino al prodigioso equilibrio de “Il matrimonio segreto”.
Lo stile, ovviamente, era in parte quello dei recenti successi, con auto-impresti da altre opere; ma c’erano altre cose nuove, composte di fresco, fra cui la splendido Finale dell'atto primo, con un bellissimo recitativo accompagnato. La riproposizione di questa edizione discografica de “Le astuzie femminili” è stata una grande occasione per un "cimarosiano" di grande tradizione come Simone Perugini, per di più alle prese con un cast oggettivamente più fastoso rispetto a quelli che avevano caratterizzato le sue precedenti registrazioni.
Oltre ad aver scelto i cantanti con un particolare riguardo rispetto alle loro caratteristiche in paragone a quelle che dovevano avere i creatori dei rispettivi ruoli, il direttore ha composto anche le variazioni dei da-capo ed ha accompagnato al fortepiano i recitativi secchi. La sua è una direzione molto fluida – non ci viene in mente aggettivo più adeguato – che mira ad evidenziare l’aspetto dionisiaco della composizione piuttosto che il lato apollineo, che sembrano privilegiare altri interpreti. Ne deriva una fluidità molto scattante, energica, divertita, che in sé riduce di molto i contrasti che pure sono ben sottolineati sotto altra forma. In altre parole: ciò che in altri direttori viene detto attraverso una compassata lettura apollinea della partitura, da Perugini viene raccontato con un occhio al libretto e alla “fabula”, restituendo la voce all’Autore. Non abbiamo ancora deciso cosa ci piaccia realmente di più, ma bisogna dire che fa piacere confrontarsi con prospettive così differenti.
La punta del cast è oggettivamente la protagonista, Mary Canterbury specialista in repertorio barocco formatasi con Herreweghe, Christie, Rousset, ma cantante eclettica che alterna ai ruoli barocchi anche personaggi come Ninetta de “L’amore delle tre melarance”, Wanda de “La Grande-Duchesse de Gerolstein” o la Jeanne d’Arc di Honegger. Altra fuoriclasse è Elisabetta Manfredini, meravigliosa professionista e vocalista di rango assoluto, virtuosista vertiginosa. La sua Ersilia è semplicemente splendida, anche perché la coloratura rapida è molto migliorata avendo perso quell’effetto un po’ “a sirena bitonale” che sembrava caratterizzarla anni fa. Irving Hussain è un Don Giampaolo di grandissimo spessore e gigantesca comicità che si confronta con una delle arie più virtuosistiche di tutta l’opera.
In definitiva, un’incisione di importanza fondamentale per la piena comprensione della statura operistica di Cimarosa ma, soprattutto, una conferma del ruolo fondamentale esercitato da Perugini e dal suo splendido cast vocale e orchestrale nel recupero ad una piena dignità teatrale di questo affascinante repertorio.