Esteri

La minacce incrociate di Israele, Hamas ed Egitto riusciranno a portare ad un cessate il fuoco a Gaza?

In una intervista ad Haaretz il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar Majed al-Ansari ha parlato della frustrazione del suo paese nei confronti sia di Hamas che di Israele, a seguito della loro condotta durante i colloqui per giungere ad una tregua:

"Speravamo di vedere più impegno e più serietà da entrambe le parti. Speriamo, con l'aiuto dei nostri partner internazionali, di poter fare pressione su entrambe le parti per raggiungere un accordo, ma in questo momento stiamo assistendo a una grande mancanza di impegno da parte di entrambe le parti nei confronti del processo stesso e della mediazione", 

ha detto Ansari, aggiungendo che se il Qatar giudicasse come senza speranza gli sforzi per arrivare ad un accordo, allora il governo potrebbe decidere di rivalutare la sua posizione per evitare di essere utilizzato come parte del prolungamento del conflitto in atto.

In questo momento, però, a gestire la regia per arrivare ad una tregua è l'Egitto, che attende una risposta da Hamas che sabato ha ricevuto una controproposta israeliana a quella presentata venerdì dall'Egitto da  Abbas Kamel, capo dell'intelligence del Cairo, che si è recato a Tel Aviv.

Le parti interessate all'accordo, tutte, stanno a loro modo esercitando pressioni per raggiungere gli obiettivi prefissati. 

Israele, pubblicamente, chiede la liberazione di tutti gli "ostaggi" mettendo sul piatto, come contropartita, la sospensione dell'attacco a Rafah, definito imminente. Per Tel Aviv quest'ultima proposta di accordo sarebbe cruciale per fermare l'attacco che partirebbe nel caso venga rifiutata.

Hamas, da parte sua, utilizza i prigionieri in suo possesso per fare pressione, tramite l'opinione pubblica israeliana che anche questa sera è in piazza per chiedere le dimissioni del governo Netanyahu, per arrivare ad un cessate il fuoco, in modo da evitare che le bombe israeliane continuino ad uccidere le persone detenute a Gaza.

A supporto di tale strategia, Hamas ha pubblicato oggi un nuovo video in cui due ostaggi - Keith Segal (64 anni) di Kfar Azza e Omri Miran (47 anni) del Kibbutz Nahal Oz -, oltre a salutare i propri familiari, si appellano al loro governo perché si impegni ad arrivare quanto prima ad una tregua che fermi i bombardamenti di cui molti altri prigionieri - in base a quanto da loro sostenuto - sono già stati vittime.

Infine, anche l'Egitto ha lanciato un proprio messaggio ad Israele, seppure indirettamente. Al Sisi non è tanto preoccupato di Hamas e dei suoi rapporti con Teheran come dicono sprovvedutamente molti media occidentali. Nel 2017, dopo il colpo di Stato in cui ha fatto fuori i Fratelli musulmani, Hamas ha annunciato un nuovo statuto in cui ha dato praticamente dato il ben servito ai Fratelli musulmani e si è messa nelle mani dell'Egitto, che da qual momento ha sempre mediato con Israele nelle crisi che ci sono state negli ultimi anni tra il movimento di resistenza palestinese e lo Stato ebraico. 

Il terrore dell'Egitto è rappresentato invece dal fatto che gli abitanti di Gaza si riversino nel Sinai e che l'Egitto diventi poi il terzo Paese di rifugiati palestinesi, dopo Libano e Giordania.

All'inizio dell'invasione di Gaza, al Sisi aveva dichiarato che tale eventualità sarebbe stata un'implicita dichiarazione di guerra da parte dello Stato ebraico. Oggi, pur non ripetendo tale affermazione, al Sisi si è fatto riprendere mentre i suoi soldati dell'Accademia militare venivano istruiti sulle deficienze di tutti e tre i tipi di carri armati Merkava dell'esercito israeliano, di cui - in base al modello, erano elencati con precisione i punti deboli, tanto da renderli estremamente vulnerabili ai lanciamissili di ultima generazione.

Adesso, dopo i messaggi incrociati che Hamas, Egitto e Israele si sono vicendevolmente lanciati, non resta che attendere per vedere se prima o poi la ragione prevalga, in modo da arrivare almeno ad un cessate il fuoco.

Autore Ugo Longhi
Categoria Esteri
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