«Mese dopo mese i dati sul mondo del lavoro mi rendono più orgoglioso di quanto stiamo facendo» ha detto il vicepremier 5 Stelle. «Oggi l'Inps conferma ancora una volta il decollo dei contratti stabili (+324mila a marzo 2019 rispetto ai -56mila di marzo 2018), favoriti anche dalle centinaia di migliaia di trasformazioni dei contratti a termine (+75,5%). Se poi guardiamo ai primi tre mesi del 2019, cioè da quando la nostra Manovra è entrata in vigore, il saldo tra attivazioni e cessazioni di contratti stabili è stato di +241 mila contro il +106 mila dello scorso anno. Un aumento del 126%!
Non dimenticatevi mai di chi nei mesi scorsi mi ha chiamato Ministro della Disoccupazione solo perché con il decreto Dignità avevo osato mettere fine all'abuso dei contratti precari. Attaccavano me, ma il vero obiettivo eravate voi: volevano convincervi che vivere di contratti a termine è possibile, che bisogna farci l'abitudine perché così va il mondo e non si può tornare indietro.»
Di Maio, forse tradito dal suo entusiasmo, si è però dimenticato di citare un altro dato comunicato dall'Inps, che ci ha informato che nei primi tre mesi del 2019, nel settore privato, le assunzioni sono state 1.661.000.
E se andiamo a raffrontare questo dato con quello analogo di un anno fa, scopriamo che nel periodo gennaio-marzo 2018, le assunzioni erano state 1.743.000, circa il 9,5% in più.
Inoltre, quello che Di Maio continua a non ricordare, e con lui il prof. Pasquale Tridico, nominato in questi giorni presidente dell'Inps proprio dallo stesso ministro pentastellato, è che quelli che vengono definiti contratti stabili o a tempo indeterminato sono i contratti che l'Istat definisce permanenti, creati con il Jobs Act e mai cancellati, neppure dal decreto dignità. Sono, in pratica, dei contratti a tempo determinato che hanno una durata di tre anni, alla fine dei quali un lavoratore dipendente ha il 50% di probabilità di essere licenziato (senza alcuna motivazione) o di essere assunto, e solo allora, a tempo indeterminato.