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Gregorio Scribano: dal Presidenzialismo di Almirante al Premierato di Meloni

Gregorio Scribano: dal Presidenzialismo di Almirante al Premierato di Meloni

Gregorio Scribano, politologo e opinionista italiano, conosciuto per le sue analisi approfondite e per la sua straordinaria capacità di collegare con lucidità e rigore metodologico gli eventi storici alle dinamiche politiche contemporanee, è intervenuto con un’intervista dettagliata e argomentata sul tema dell’evoluzione della destra italiana, delineando il percorso che ha portato dalla visione presidenzialista di Giorgio Almirante al modello di premierato promosso da Giorgia Meloni.


Dottor Scribano, la destra italiana ha sempre mostrato una predilezione per il presidenzialismo. Cosa significava questa idea per Giorgio Almirante e il Movimento Sociale Italiano?

Per Almirante e per il MSI, il presidenzialismo era la soluzione per una democrazia più stabile e ordinata, lontana dai giochi di partito e dalla frammentazione parlamentare. L’idea di un Capo dello Stato eletto direttamente dal popolo, con poteri effettivi e non solo simbolici, rientrava in una visione organicistica dello Stato, in cui la nazione non era una somma di individui e interessi, ma un corpo unico da governare con autorità e decisionismo. Questo rifiuto del parlamentarismo e del compromesso era un’eredità diretta del pensiero fascista, anche se il MSI cercò di smarcarsi dal passato adottando il linguaggio della democrazia.

“E’ tutto conseguenziale. Per assicurare stabilità politica occorre che il capo del governo non sia tratto fuori dal forcipe della partitocrazia ma venga nominato direttamente dal presidente della Repubblica. E perché quest’ultimo possa farlo occorre che a sua volta non sia servo della partitocrazia ma venga eletto direttamente dal popolo. Ecco i lineamenti di una Repubblica presidenziale moderna”.

Così parlava Giorgio Almirante nel 1983.


Come si è evoluta questa visione nel corso della storia repubblicana?

La diffidenza verso la democrazia parlamentare non era solo della destra post-fascista. Bettino Craxi, negli anni ’80, denunciava l’instabilità dei governi italiani e proponeva una maggiore forza per l’esecutivo. Poi arrivarono Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica, che permisero a Silvio Berlusconi di farsi portavoce di un modello presidenzialista più accettabile per l’opinione pubblica, pur senza mai riuscire a realizzarlo. Anche Matteo Renzi, con la sua riforma costituzionale del 2016, provò a rafforzare il ruolo dell’esecutivo, sebbene in una forma meno radicale. Infine, Giorgia Meloni ha ripreso il discorso, ma sostituendo il presidenzialismo con il premierato, un sistema che mantiene il Presidente della Repubblica con funzioni di garanzia, ma assicura al capo del governo maggiore stabilità.


Il passaggio dal presidenzialismo al premierato segna una vera rottura con il passato o è solo un adattamento?

È più un adattamento. La destra italiana, consapevole che il presidenzialismo pieno non ha mai avuto un reale consenso trasversale, ha ripiegato su una soluzione più praticabile. Il premierato proposto da Meloni mira a garantire che il presidente del Consiglio non possa essere facilmente sfiduciato e possa governare con maggiore continuità. Tuttavia, il rischio di una concentrazione di potere rimane, soprattutto se non si prevedono adeguati contrappesi per il Parlamento e per le opposizioni.


Possiamo quindi dire che la destra attuale sta portando avanti il progetto di Almirante?

In un certo senso sì, ma con toni e metodi diversi. Se Almirante parlava di una necessità quasi rivoluzionaria di superare la democrazia parlamentare, Meloni utilizza il linguaggio delle riforme istituzionali, proponendo un cambiamento che non sembri una rottura traumatica. Tuttavia, il filo conduttore resta lo stesso: una critica alla debolezza del parlamentarismo, la volontà di rafforzare il potere esecutivo e una certa diffidenza verso i meccanismi del bilanciamento democratico.


Alcuni osservatori vedono un paradosso: i ‘vinti’ della storia, i post-fascisti, stanno ora mettendo sotto accusa i ‘vincitori’, ovvero i padri costituenti e il loro modello istituzionale. Cosa ne pensa?

È una lettura suggestiva, ma corretta. Per anni la destra post-fascista è stata marginalizzata e guardata con sospetto, mentre la Costituzione repubblicana rappresentava il baluardo della democrazia nata dalla Resistenza. Oggi, con la crescita della destra e l’indebolimento dei partiti storici della sinistra e del centro, assistiamo ad una sorta di ribaltamento della narrativa: sono gli eredi di Almirante a mettere in discussione l’assetto istituzionale voluto dai costituenti. È una dinamica politica e culturale che merita di essere osservata con attenzione.


Il premierato di Giorgia Meloni può essere considerato un punto di arrivo?

Non necessariamente. Potrebbe essere un primo passo verso riforme ancora più incisive. La storia ci insegna che i cambiamenti istituzionali tendono a generare effetti a catena: se il premierato verrà introdotto, le forze politiche potrebbero chiedere ulteriori modifiche, magari avvicinandosi ancora di più ad un modello presidenziale. Tutto dipenderà dall’evoluzione del contesto politico e dalla capacità delle opposizioni di proporre alternative valide.


Quindi il ‘tarlo’ continua a scavare?

Sì, la metafora è calzante. Le trasformazioni politiche non avvengono mai di colpo, ma sono il risultato di un processo lungo e sotterraneo. Il dibattito sul presidenzialismo, avviato dal MSI e ripreso da varie forze politiche nel tempo, è ancora aperto. Il vero nodo non è tanto la forma di governo, quanto il modello di democrazia che vogliamo costruire per il futuro.

Autore Gregorio Scribano
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